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La legge europea per la libertà dei media un’occasione per la riforma della governance Rai

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Non vi è dubbio che il miglior Consiglio di Amministrazione della Rai sarebbe quello formato da consiglieri veramente indipendenti, non solo nei confronti di chi li ha nominati, ma anche rispetto a sé stessi, al proprio orientamento ideologico. Se questa è più un’eccezione che la norma, vuol dire che la selezione è dettata da criteri di fedeltà piuttosto che di competenza: una distorsione aggravata da una legge che premia il governo in carica e penalizza le opposizioni.

Fino a ieri sarebbe stato illusorio immaginare di porre all’ordine del giorno una sostanziale modifica della legge di riforma del 2015 voluta dal governo Renzi; tuttavia, l’accordo raggiunto dai 27 paesi dell’UE sulla libertà dei media (EMFA) a garanzia del pluralismo e della trasparenza potrebbe riaprire la discussione sulla governance del servizio pubblico.

 Per sottrarre il controllo della Rai all’esecutivo di turno sono stati elaborati negli ultimi anni diversi progetti di riforma della governance. In particolare quelli che hanno suscitato maggiore interesse sono due: quello che affida la proprietà della Rai a una Fondazione e quello duale che si prefigge di tenere distinti l’indirizzo del servizio pubblico dalla gestione aziendale grazie un Consiglio di sorveglianza, composto da quindici membri, che funge da intermediario con il potere politico, e a un Consiglio di gestione ristretto con compiti operativi.

 

La Fondazione

La novità più significativa riguardante la Fondazione è il trasferimento gratuito, a quest’ultima, del pacchetto azionario della Rai, attualmente detenuto dal Ministero dell’Economia. La gestione della fondazione sarebbe affidata a un Consiglio di Amministrazione nominato dal Presidente della Repubblica, (sebbene l’idea che alcune nomine siano di competenza del Capo dello Stato appare molto discutibile). Altre entità coinvolte nella nomina sarebbero l’Agcom, il Parlamento e rappresentanti della società civile. La legge prevede, inoltre, l’abolizione della Commissione di Vigilanza Rai: una misura molto drastica che, pur di assecondare i sostenitori di una presunta inutilità della Vigilanza, interrompe il legame istituzionale della Rai con il Parlamento, organo rappresentativo per eccellenza e garante del pluralismo politico. Certamente la Vigilanza ha dato negli ultimi anni preoccupanti segni di inconsistenza, ma non è detto che l’unico modo di curare un’infezione sia l’amputazione dell’arto. Infine, con la Fondazione non si può escludere il pericolo di una privatizzazione strisciante: ad esempio, la Rai potrebbe aver necessità di fondi privati per far fronte alle sue esigenze finanziarie chiamando contribuenti privati ad assumere un ruolo nell’amministrazione.

 

Il Modello duale

Alla luce di queste criticità, il modello societario duale sembra più adeguato a preservare la natura istituzionale della Rai che, protetta dalla proprietà statale dell’ente, eviterebbe il pericolo di privatizzazioni. Il PDL prevede che i poteri dell’azionista principale, il Governo, siano temperati da un Consiglio di sorveglianza composto da quindici membri. Quest’organo avrebbe il compito di definire le strategie aziendali, garantendo alla Rai una maggiore indipendenza dall’esecutivo. Il Consiglio di gestione, composto da tre membri, attuerebbe il Contratto di servizio, il Piano di sviluppo industriale e, visto che non c’è tempo da perdere, potrebbe portare a termine la riorganizzazione dell’azienda, a partire da una radicale riconversione in senso multimediale dei profili professionali di tecnici, giornalisti, quadri e manager. Assumerebbe, infine, le responsabilità e le funzioni attualmente affidate all’Amministratore Delegato e al Direttore Generale.

Il progetto di Riforma dualistico più organico è quello presentato dal Sen. Fornaro. Vale la pena, a questo proposito, rileggere un articolo di approfondimento scritto da Paolo Favale nel 2019 per Articolo 21, nel periodo in cui era fuori dalla Rai (Il sistema duale per la governance Rai).

Partendo da questi progetti, si potrebbe sviluppare un testo condiviso non solo dalle minoranze parlamentari, ma anche da quelle componenti dell’attuale maggioranza che riconoscono l’importanza del servizio pubblico e il suo ruolo cruciale nel panorama industriale e culturale del nostro paese. Tuttavia, poiché le riforme non nascono solamente a tavolino, la riforma della governance dovrà essere necessariamente sostenuta da una mobilitazione consapevole che è in gioco un pilastro del nostro assetto democratico.


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