La destra argentina si spacca, già in crisi il governo Milei

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L’ansia scoppiata a Buenos Aires genera preoccupazione e dubbi anche a Washington e Wall-street, riferiscono giornali, media e TV della capitale. La Ley Omnibus, 634 articoli affastellati uno sull’altro che nelle intenzioni del presidente Javier Milei avrebbero dovuto cambiare da cima a fondo e per sempre l’Argentina, non esiste più. Ritirata in una crisi di nervi dal governo di fronte all’impossibilità di trovare una maggioranza parlamentare disposta a votarla. Due mesi perduti, con povertà e inflazione in aumento, quest’ultima valutata un vantaggio a suo favore dal superministro dell’Economia, Luis Caputo, poiché ridurrebbe la capacità di opposizione delle province. Ritiene che i cittadini, con in tasca pesos che valgono sempre meno, dovrebbero rivolgere la loro ira contro i rispettivi governatori e amministratori locali contrari a rilasciare poteri eccezionali in bianco al governo nazionale.

La politica trasformata in una sfida western, in cui la ministra della Sicurezza, Patricia Bullrich, sceglie questo momento per tornare ad autorizzare la polizia federale all’uso di armi lunghe nei “casi di necessità”. Con dichiarati anzi strillati propositi di vendetta e il neo-presidente che da Israele, dov’è in visita ufficiale, kippah sul capo, smette le lagrime autentiche nell’emozionatissima visita all’antico Muro di Gerusalemme, per scaraventare una valanga d’insulti in gran parte irriferibili a quanti ostacolano il suo disegno politico (“traditori, ladroni, nemici del popolo…”). E il proposito di cacciare i funzionari pubblici che non hanno sostenuto e fatto sostenere il suo maga-disegno di legge. Riemergono rivalità e odi vecchi ma non dimenticati tra gli esperti economici più o meno titolati che negli ultimi vent’anni hanno guidato le diverse crisi vissute dal grande paese sudamericano, da Domingo Cavallo (77) a Federico Sturzenegger (57).


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