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Imbavagliati, solidarietà ai manifestanti sede Rai Napoli

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Il Festival Internazionale di Giornalismo Civile, “Imbavagliati” è vicino ai manifestanti che hanno protestato stamane davanti alla sede della Rai di Napoli, in viale Marconi, in seguito alle polemiche seguite all’esibizione di Ghali a Sanremo e al comunicato dell’amministratore delegato Sergio, letto da Mara Venier durante Domenica In. “Se dovessero essere confermate le testimonianze degli attivisti – dice la giornalista Désirée Klain, direttrice del festival contro la censura nel mondo e portavoce di Articolo21 per la Campania – che hanno raccontato di essere stati caricati e feriti dalle forze dell’ordine, solo per l’intenzione di voler esporre un manifesto pacifico, sarebbe un gravissimo atto di violenza contro la libertà di espressione, sancita dalla nostra Costituzione. Il festival aveva già deciso di dare voce a tutti quegli artisti, che sono stati censurati, per esprimere un legittimo invito al ‘cessate il fuoco’. Necessari e coraggiosi ‘Strumenti di pace””.
Imbavagliati, nella sua nona edizione avrà  come tema “Io ho visto: Strumenti di Pace”. Durante l’iniziativa, programmata dal 22 al 24 aprile prossimi, all’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici di Napoli, il festival sarà soprattutto megafono per tutti quegli attivisti, giornalisti, che hanno sperimentato il bavaglio della censura e la persecuzione di regimi dittatoriali, ma nonostante questo hanno messo in pericolo la loro vita per poter parlare, raccontare, denunciare.
L’iniziativa accenderà una luce sulle vittime innocenti delle guerre in Ucraina e in Medio Oriente, ma anche  sui conflitti “dimenticati”, come  in Siria, Yemen, Birmania, Repubblica del Congo, Etiopia e quelli cosiddetti a “bassa intensità”.
La manifestazione sarà dedicata ai reporter assassinati in questi mesi di bombardamenti nella striscia di Gaza. Oltre un centinaio, tra giornalisti e personale che lavora sui media, hanno perso la vita; ovvero più morti in pochi mesi che in un anno intero, secondo le stime del CPJ. Configurando, così, un vero e proprio “giornalisticidio”: la più grande opera di censura operata da uno stato in guerra.

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