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Giù le mani dalla libertà di stampa

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La libertà di stampa in Italia continua a vivere giorni delicati, tanto che la classifica stilata nel 2023 da Reporters sans frontiéres vede il nostro Paese soltanto al quarantunesimo posto nel mondo. Non c’è da stupirsi, se si pensa ai tanti operatori dell’informazione minacciati, numerosi sotto scorta, alla rilevante quantità di azioni giudiziarie intimidatorie contro giornalisti, ma soprattutto alla ricorrente tentazione dei partiti di centrodestra – oggi in maggioranza – di imporre un vero e proprio bavaglio alla libera informazione. Non a caso Federazione della stampa e Ordine dei giornalisti contestano radicalmente la legge sulla diffamazione in discussione al Senato, che non blocca le querele temerarie e comprime invece, in maniera ingiustificata, il diritto dei cittadini a un’informazione libera e approfondita. Per capire meglio la situazione italiana, si pensi che l’80 per cento delle denunce per diffamazione non arrivano al giudizio e, di quelle a giudizio, l’85 per cento si concludono con l’assoluzione.

A far crescere l’allarme degli operatori dell’informazione non sono soltanto i disegni di legge sulla diffamazione, al momento arenati al Senato, ma anche il disegno di legge Nordio sulle intercettazioni e l’emendamento al disegno di legge di delegazione europea 2022/23 che ha come primo firmatario il deputato di Azione Enrico Costa.

Il disegno di legge Nordio sulla giustizia va a modificare l’articolo 268 c.p.p. in materia di esecuzione delle intercettazioni, prevedendo che nei relativi verbali non siano riportate espressioni che consentano di identificare soggetti diversi dalle parti, salvo che risultino rilevanti ai fini delle indagini. Un intervento settoriale che ha l’obiettivo di rendere più stringente il divieto di pubblicare il contenuto delle intercettazioni, senza che ci sia nessun bilanciamento dei contrastanti interessi costituzionali in gioco.

Il testo di Enrico Costa, approvato alla Camera il 20 dicembre dello scorso anno con un insopportabile allargamento della maggioranza, delega il Governo a modificare l’articolo 114, comma 2, del codice di procedura penale, prevedendo “il divieto di pubblicazione integrale o per estratto del testo dell’ordinanza di custodia cautelare finché non siano concluse le indagini preliminari ovvero fino al termine dell’udienza preliminare”. La delega avrebbe l’obiettivo di “garantire l’integrale e compiuto adeguamento” alla direttiva (UE) 2016/343, sul rafforzamento di alcuni aspetti della “presunzione di innocenza e del diritto di presenziare al processo nei procedimenti penali”, nonché di assicurare l’effettivo rispetto dell’articolo 27, comma 2, della Costituzione, secondo il quale non si può essere considerati colpevoli fino a una condanna definitiva. È del tutto evidente, però, che questa previsione lede il diritto costituzionale dei cittadini a essere informati.

L’articolo 114, comma 2, c.p.p. vieta attualmente “la pubblicazione, anche parziale, degli atti non più coperti dal segreto fino a che non siano concluse le indagini preliminari ovvero fino al termine dell’udienza preliminare”, fatta eccezione per la custodia cautelare. Nel nuovo testo si elimina l’”eccezione”, escludendo, quindi, la conoscenza pubblica dell’ordinanza di custodia cautelare e degli atti relativi, come quelli che riportano intercettazioni telefoniche e ambientali, che generalmente destano particolare interesse negli organi di informazione. Davanti a questa scelta infausta, Fnsi, Ordine, comitati di redazione, associazioni e movimenti sono insorti, insieme a giuristi e costituzionalisti, contestando il tentativo di imporre un bavaglio alla libera stampa e sottolineando che il provvedimento “va al di là delle disposizioni europee, viola l’articolo 21 della Costituzione e compromette l’autonomia dei giornalisti”. Può, insomma, essere definito come “censura di Stato”.

Il gruppo Alleanza Verdi e Sinistra, di cui faccio parte, ha presentato alla Camera una mozione su libertà di stampa e diritto all’informazione a prima firma Piccolotti (https://aic.camera.it/aic/scheda.html?numero=1/00235&ramo=CAMERA&leg=19), che, tra le altre questioni, sottolinea la necessità che il Parlamento, in sede di approvazione definitiva del provvedimento, individui soluzioni diverse, capaci di determinare un giusto equilibrio tra la tutela degli imputati o delle persone che compaiono negli atti delle indagini e il diritto all’informazione.

La mozione impegna poi il Governo ad adottare iniziative normative in linea con quanto previsto dal testo negoziale sulle norme a difesa dei giornalisti dalle querele temerarie, note con l’acronimo inglese Slapp (Strategic Lawsuit Against Public Participation), approvato dal Parlamento europeo l’11 luglio 2023. Si chiede, inoltre, di riformare la disciplina della diffamazione in linea con i pronunciamenti della Corte costituzionale e della Corte europea dei diritti dell’uomo, in base ai quali la previsione della pena detentiva non è compatibile con l’articolo 10 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, se non in casi di eccezionale gravità. Altro punto fondamentale è la protezione delle fonti giornalistiche, per far sì che il diritto dei giornalisti al silenzio sulle loro fonti non sia considerato un mero privilegio, concesso o revocato sulla base della liceità o illegittimità della provenienza delle informazioni, ma un autentico attributo del diritto all’informazione. La mozione prevede, quindi, di estendere la possibilità di appellarsi al segreto professionale per tutelare le fonti a tutti coloro che svolgono effettivamente lavoro giornalistico: dai giornalisti freelance, i più esposti in caso di querela poiché chiamati a farsi carico delle spese legali pur non avendo uno stipendio fisso, a tutti quegli operatori che, in ragione dei loro rapporti professionali o personali, possono essere al corrente di determinate informazioni di interesse per la pubblica opinione. E ancora, proponiamo di sostenere nelle sedi competenti le nuove norme previste dalla legge europea per la libertà dei media (European Media Freedom Act), con particolare riferimento a quelle dirette all’efficace protezione dei giornalisti e dei fornitori dei servizi di media e alla tutela dei rapporti tra i giornalisti e le fonti anche da intercettazioni e/o captazioni di conversazione e messaggi.

Ultima questione, ma non per importanza, riguarda i temi della parità di genere e il divario retributivo di genere nel mondo del giornalismo. L’ultima analisi del Global Media Monitoring Project (2020) rileva che su 114 Paesi presi in esame solo il 12% degli “esperti” sui media italiani è donna, contro un dato internazionale del 26%. Anche il Report 2022 sulla programmazione Rai testimonia che nei generi di informazione e factual – dai talk show all’infotainment – le opinioniste sono solo il 30% e le esperte ancora meno, il 23%. Il “Monitoraggio sulla rappresentazione della figura femminile, sulla capacità di garantire il pluralismo di temi, soggetti e linguaggi e contribuire alla creazione di coesione sociale nella programmazione Rai” condotto dall’Istituto per lo Studio nei Mass Media testimonia come la presenza femminile sia più numerosa nella fascia diurna (con il 45,3% di presenze) per precipitare al 34,5% (vs 64,4% di uomini) nella più ambita fascia serale. Pur in mancanza di dati di analisi, è palese come lo stesso meccanismo di riproduca anche nell’emittenza privata, con una scarsissima presenza femminile nelle trasmissioni di prima serata. Il tema del divario salariale va a braccetto con questi dati, che fanno emergere in maniera chiara quanto le giornaliste siano meno considerate – e di conseguenza meno retribuite – dei propri colleghi maschi. È quindi del tutto evidente quanto sia urgente una forte e innovativa azione normativa, volta a garantire pari opportunità e parità retributiva a tante professioniste.

Così come è altrettanto urgente la riforma della governance del servizio pubblico radiotelevisivo, al fine di garantire maggior pluralismo e libertà di informazione. Se poi si riuscisse finalmente ad approvare una norma sul conflitto di interessi, potremmo forse ambire a classificarci ai primi posti delle graduatorie sulla libertà di stampa. Ma – ahinoi – la strada è piuttosto impervia e i tempi che viviamo non troppo favorevoli. Eppure il nostro impegno per difendere la libertà di stampa non mancherà.

**Francesca Ghirra parlamentare di Alleanza Verdi e Sinistra


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