Che cosa sono i Cpr abbiamo imparato a capirlo dalle denunce e dai dati del Garante delle persone che si trovano in regime di restrizione della libertà oppure dai cosiddetti scandali per il trattamento che gli ospiti subiscono come se fossero in carcere, mentre, in realtà, sono solo in attesa di un’altra possibilità. Ma dove sono questi centri, cosa fanno, perché sono nati e dove possono realmente arrivare è un dato che, per molti versi, può considerarsi “nascosto”. Il primo rapporto stilato con modalità scientifica e con dati aggregati è stato pubblicato di recente. E’ il progetto “Trattenuti”, frutto di un lavoro collettivo di raccolta e analisi dei dati svolto da ActionAid Italia e dal Dipartimento di Scienze Politiche dell’Università di Bari, nato “dall’esigenza di avere dati e informazioni più sistematiche sul funzionamento dei centri di detenzione per stranieri, ufficialmente definiti dal 2017 Centri di permanenza per il rimpatrio (Cpr)” Obiettivo del report è quello di iniziare a gettare luce sull’efficacia e i costi di uno degli strumenti più controversi e meno trasparenti delle politiche migratorie italiane.
“L’attenzione della società civile per il funzionamento del sistema detentivo per stranieri non è mai mancata in Italia. – si legge, tra l’altro, nel dossier – Nel corso degli anni, diverse organizzazioni non governative, associazioni, o anche singoli giornalisti, hanno contribuito a gettare luce sul funzionamento di tali strutture e sulle condizioni di detenzione al loro interno. Tra i primi report sul funzionamento degli allora Cpta, possiamo ad esempio ricordare quello pubblicato nel 2004 da Medici senza frontiere”. L’evoluzione o l’involuzione dei Cpr si registra a fasi alterne. Secondo quanto emerge dal dossier “ gli anni tra il 2011 e il 2014 segnano una stagione di deciso disinvestimento nella detenzione amministrativa degli stranieri. In particolare, in questo periodo il numero di centri operativi si dimezza, con conseguente crollo della capacità ricettiva del sistema, che passa nel giro di pochi anni da 1901 a 359 posti disponibili”, mentre “dal 2017 comincia una stagione in cui tutte le compagini susseguitesi al governo del paese hanno dichiaratamente visto nella detenzione amministrativa degli stranieri uno strumento indispensabile ad una più efficace politica di rimpatrio, annunciando il proposito di voler aprire un centro in ciascuna regione italiana. Nello spazio di quattro anni il numero di centri attivi raddoppia, mentre cresce del 107% il numero di posti disponibili. Altro dato rilevante è la crescita dei termini di permanenza massima, che erano stati drasticamente ridotti nel 2014. Con una serie ripetuta di interventi normativi, che giunge fino al 2023 con la conversione in legge del Decreto n. 20/2023, i termini vengono progressivamente elevati per diverse categorie di trattenuti”. Inoltre “nel 2014 si era inteso intervenire sulla materia, riducendo il termine massimo a 30 giorni. La durata massima del loro trattenimento è stata tuttavia nuovamente elevata nel 2017 (45 giorni) e ancora nel 2020 e 2023, in particolare per i cittadini dei paesi con cui l’Italia ha stipulato un accordo di riammissione (rispettivamente 60 e 75 giorni).
Qui il dossier completo “Trattenuti”Rapporto-Trattenuti