Bellezza addio, il documentario di Carmen Giardina e Massimiliano Palmese sul poeta Dario Bellezza, sarà presentato al Cinema Nuovo Sacher di Roma, il 19 febbraio alle ore 21.00 e al Cinema Anteo di Milano, il 26 febbraio alle 21.30. Prodotto da Zivago Film e Istituto Luce, il film rappresenta un utile strumento di memoria per il presente e il futuro.
È davvero così banale ricordare fino a che punto la cultura del passato sia necessaria per costruire una solida cultura futura? Forse no. Il nostro tempo, a ben guardare, non rende questa operazione sempre scontata. Ma Carmen Giardina e Massimiliano Palmese, scavando nella vita e nell’arte di Dario Bellezza, gettano lo spettatore in un caleidoscopio di personaggi imprescindibili nella crescita e nell’arte di questo Paese. E soprattutto ci mostrano e dicono parole indispensabili al nostro tempo: arte, poesia, responsabilità, consapevolezza.
Con le testimonianze di Barbara Alberti, Antonella Amendola, Ulisse Benedetti, Franco Cordelli, Ninetto Davoli, Giuseppe Garrera, Maurizio Gregorini, Fiammetta Jori, Renzo Paris, Elio Pecora, Paco Reconti, Nichi Vendola; con immagini preziose di archivio, fotografie, con l’archivio personale di questo “ultimo poeta classico della letteratura contemporanea” (dice Franco Cordelli nel suo intervento commovente) e grazie ai documenti dell’Istituto Luce, Bellezza Addio parla a tutti noi del senso e della necessità di riflettere sul potere creativo dello scandalo, necessario per creare bellezza.
Ne parliamo con Carmen Giardina, regista del film.
Perché un film su Dario Bellezza?
Dopo il documentario Il caso Braibanti (2020), per il quale vincemmo un Nastro d’Argento, cercavamo nuove idee e Massimiliano propose Dario Bellezza. Io non amo le biografie, ma vidi la possibilità di raccontare, attraverso Bellezza, una stagione irripetibile della cultura italiana, oltre che un evento che sconvolse il mondo negli anni 80: la pandemia dell’Aids, di cui anche Bellezza fu vittima, e che il cinema italiano non ha quasi mai affrontato. Nel 1996, l’anno della morte di Bellezza, l’AIDS era ancora un marchio indecente, una malattia maledetta, strettamente connessa alle abitudini sessuali di chi lo contraeva. Forse anche per questo oggi Bellezza è un poeta dimenticato, nonostante Pasolini lo definisse “il miglior poeta della sua generazione”. Dario Bellezza ha vissuto la stagione della grandiosa cultura italiana del secondo ’900, con e dentro gli anni di Alberto Moravia, di Goffredo Parise, di Carlo Emilio Gadda, di Elsa Morante, di Anna Maria Ortese, di Pier Paolo Pasolini, di Mario Schifano, Michelangelo Antonioni, Luchino Visconti, Federico Fellini: un’Italia benedetta dalla proliferazione di artisti straordinari. Bellezza è figlio, nipote, di queste personalità. Pasolini lo assunse come segretario personale: una mansione fittizia, ma che non offendeva le costanti difficoltà economiche del giovane poeta. Doveva occuparsi della posta, rispondere alle lettere, oppure assisterlo nella stesura delle sceneggiature, in particolare si occupò di Medea (1969): nel documentario mostriamo il copione dattiloscritto da Bellezza con le note a margine di Pasolini, che fa parte dell’archivio del poeta che il collezionista Giuseppe Garrera ci ha mostrato in anteprima. Ma oltre al lungo rapporto tra Bellezza e Pasolini, fu Moravia a interessarsi molto di lui: scrisse la prefazione del suo primo romanzo e il loro rapporto è durato per tutta la vita. Moravia amava la leggerezza, le contraddizioni di questo giovane poeta e Bellezza gli faceva conoscere ambienti omosessuali eccentrici, leggeri, che Moravia si divertiva a frequentare. Prese un po’ le veci di un padre, padre che Bellezza cercò in tutti i grandi poeti, scrittori, artisti che frequentò, così come sempre cercò una madre (dalla sua forse non si era sentito amato) nelle più importanti scrittrici del ’900 che gli furono vicine: Elsa Morante, Amelia Rosselli, Anna Maria Ortese. Con loro Bellezza ebbe rapporti profondi, a volte burrascosi. Della Morante, per esempio, Bellezza dichiarò più volte di essere stato innamorato come di nessun altro, uomo o donna che fosse, eppure proprio con lei ebbe il rapporto più difficile, non soltanto madre, ma anche modello letterario al quale sempre si riferì. Ma i due chiusero drasticamente e in modo traumatico il loro rapporto. Tanto che la Morante non volle più vederlo, neanche prima della sua morte: Bellezza chiese più volte di andarla a trovare in ospedale, più volte lei gli negò ogni possibilità di rivedersi.
In una società incastrata nel politicamente corretto e nel far prevalere l’istinto sul senso critico, ci serve riconsiderare figure che hanno creato intenzionalmente lo scontro, il conflitto, la dialettica. La natura autenticamente distruttiva e autodistruttiva di alcuni protagonisti della nostra cultura, ci sta dicendo, va ripensata per capire quanto ci occorra un metodo, una ricerca che siano costruttivamente oppositivi. Per di più, il vostro documentario spiega molto bene fino a che punto Dario Bellezza fosse consapevole del ruolo del Poeta, dell’artista nella società. La mania di Bellezza di difendere e sostenere l’arte si rispecchia nella sua mania della ricerca linguistica, nello studio costante sulla scelta e sull’uso delle parole. Eravate consapevoli di questi diversi aspetti di scomodità che andavate toccando, durate la lavorazione?
Bellezza scrive dettagliatamente della propria omosessualità. Racconta delle sue frequentazioni omosessuali in modo diretto, spudorato, preciso, la sua scrittura è sempre autobiografica e scoperta, senza veli. Ed è stato il primo scrittore italiano a farlo. Nichi Vendola ce lo racconta, affermando che proprio grazie alle poesie di Dario, che mostravano al mondo che esisteva un altro modo di amare, e che era possibile viverlo senza nascondersi, trovò il coraggio di dire ai suoi amici, ai compagni di partito, alla sua famiglia, di essere omosessuale.
Dopo Bellezza altri scrittori hanno trattato l’omosessualità, basti pensare ad Aldo Busi che ha fatto della sua scelta una bandiera, diventando una star dell’omosessualità. A questo Dario non era interessato. La sua vera battaglia è sempre stata la difesa del ruolo di poeta, e in questo confluisce tutta la sua vita, dall’amore al lavoro.
La parola Poesia è molto abusata nel nostro tempo. Ha ragione Cordelli quando spiega che in quel suo modo di vivere e di studiare Bellezza è un pieno esponente della grande poesia italiana del XX secolo. Questo tratto di responsabilità è indossato con una leggerezza fuori del comune, come racconta Barbara Alberti, specificando l’allegria e la spensieratezza di questo autore, nonostante i suoi demoni e quei temi che confluiscono nel grande abisso della morte.
Dario Bellezza incarnava la contraddittorietà in modo assoluto. Le sue poesie sature di morte, disperazione, inadeguatezza, dolore, si riflettono in uno stile di vita che tendeva invece all’allegria, alla curiosità, al divertimento. Aveva un’ironia dissacrante che lo fece spesso litigare con molti dei suoi amici. Anche il suo soprannome (che deriva dal fatto di aver tradotto le poesie di Arthur Rimbaud), “il Rimbaud di Monteverde”, denotava ironia da parte di amici e conoscenti, ma anche autoironia e capacità di dissacrare tutto e tutti, anche se stesso.
Molto significativi, nel documentario, sono gli interventi di Elio Pecora. C’è un passaggio, in particolare, che mi interessa molto. Pecora, raccontando del rapporto tra Elsa Morante e Dario Bellezza, dice che Morante metteva in guardia chiunque conoscesse Bellezza, perché, diceva lei: “tira fuori il peggio di noi”. La parola “noi” mi pare sia fondamentale per capire come si percepivano gli intellettuali italiani fino a pochi decenni fa: al plurale, come fossero una comunità compatta, un gruppo coeso anche nelle polemiche, nei litigi. Ma il documentario non è mai nostalgico. I valori che ne emergono sono facilmente riassumibili: la consapevolezza che essere poeta implichi uno sforzo continuo; il parlare al plurale non perché si è parte di un’élite intellettuale, ma perché la possibilità di essere tali abbia uno scopo per la società assumendosi la responsabilità di ciò che si fa e si è; la vitalità che unisce questo vasto gruppo di uomini, donne, omosessuali. Avete riscontrato questa molteplicità di sguardo tra i vostri spettatori?
La riflessione sulla poesia, su cosa significhi essere un poeta, sul suo senso e la sua necessità nel mondo di oggi, attraversa tutto il film. Accompagnando il film nei vari festival, mi ha colpito il fatto che soprattutto i ragazzi siano stati colpiti e toccati dal discorso sulla passione, parola che ricorre spesso nel documentario. Per Elio Pecora quel folto gruppo di intellettuali che ruotava attorno a Dario Bellezza e di cui egli stesso faceva parte, sentiva l’arte come una “chiamata”. Interpretavano, cioè, il loro ruolo di artisti come persone responsabili di un compito: l’arte, la poesia, erano una missione, anzi un “demone” che li possedeva. Secondo Pecora nel nostro tempo non può più esserci quel fermento, quella sete di ideali che esplosero dopo la guerra e dopo il Fascismo, in Italia, e oggi un giovane si vergognerebbe di affermare di vivere di passione, ma alcuni ragazzi, dopo la proiezione, mi hanno avvicinato per dirmi che non si riconoscevano in quel ritratto, rivendicando il loro personale modo di vivere la passione per l’arte in un mondo indubbiamente molto diverso, in un momento storico molto più difficile in cui sentirsi poeta e artista, e su questo non possiamo dargli torto. La considerazione per gli artisti nel nostro Paese in questo momento credo sia ai minimi storici.
Tra i tanti temi, c’è un gigante da affrontare: Pier Paolo Pasolini e l’amicizia, il lavoro intellettuale tra il più grande poeta del nostro tempo e un giovane passionale e innamorato. Come avete cercato di emancipare Bellezza da Pasolini?
Bellezza confessa che per molti anni qualsiasi cosa scrivesse, la prima domanda che si faceva era “cosa ne avrebbe pensato Pier Paolo?” e la sua morte lo gettò in una grande insicurezza. Nello stesso tempo, da vero poeta, Bellezza ha sempre cercato di emanciparsi dal suo ruolo di “pasoliniano doc”, come dice Renzo Paris nel documentario, cercando una sua voce personale ed unica.
Un argomento centrale del rapporto tra Pasolini e Bellezza è lo scandalo. Quanta ragione aveva Pasolini quando diceva che lo scandalo sarebbe stato un gesto puramente formale, nella società del nostro tempo! È esattamente così. Questo nostro sviluppo senza progresso ci ha portato a una libertà spinta dalle leggi del mercato, per cui tutto ciò che ci viene concesso è frutto di un calcolo economico o comunque di tornaconto. Lo scandalo, il grande argomento di quella poesia di cui stiamo parlando, è soltanto esteriore e così resta. Barbara Alberti lo dice bene: Bellezza ha avuto la fortuna di vivere nell’ultimo tempo dello scandalo. C’era la generazione dei padri da combattere, e quello hanno fatto. Oggi, apparentemente, non c’è nulla a cui opporsi davvero, lo scandalo è qualcosa di molto più impalpabile, confuso, immateriale.
A questo punto, ricordiamo il Festival di Castel Porziano del 1962, spesso citato nei documenti di quegli anni. Voi lo mostrate per sottolineare come lo scandalo sia stato tanto liberatorio quanto doloroso: era necessario contrastare il Fascismo e la cultura machista e borghese che ne era scaturita, e la generazione di Dario Bellezza ha combattuto, scandalizzando, quel sistema sociale e culturale (la stessa omosessualità di Bellezza è uno strumento di scandalo). Eppure, la vitalità dello scandalo di quella generazione e di Dario Bellezza, a un certo punto, si deteriora nel dolore di una malattia che ha segnato un’epoca. Bellezza vive la tragedia dell’HIV e la tragedia di doverla comunicare al mondo e alla propria famiglia. Come avete affrontato il dramma dell’Aids?
Pasolini vedeva che in Dario, per quanto asserisse di non credere in Dio, il senso di colpa per la propria omosessualità era fortissimo, e lo aveva definito scherzosamente “il prete di se stesso”. L’arrivo dell’AIDS, che riportò indietro le lancette per una generazione che aveva appena iniziato a vivere alla luce del sole la propria omosessualità, diventò quindi una moltiplicazione di quel senso di colpa. Tanto più che Bellezza non rivelò mai alla famiglia di essere gay: quando un giornale romano mise in prima pagina la notizia della sua malattia il padre, già malato di cuore, dopo qualche giorno morì d’infarto. Bellezza scoprì di essere malato molto prima che i sintomi si manifestassero: per molti anni ha vissuto nel silenzio e in una quotidianità normale. Lo ricordiamo ospite al Costanzo Show e in varie trasmissioni televisive, nelle interviste, scriveva, frequentava i suoi amici. L’incubazione della malattia è durata circa otto anni. Quando arriva la manifestazione inequivocabile dell’Aids Bellezza, con un’ultima, estrema contraddizione, cerca conforto proprio nella fede cattolica riscoprendo la preghiera, oltre che affidandosi a terapie sperimentali per il trattamento del dolore, in cui credeva ciecamente.
Con quale criterio avete scelto le persone da intervistare?
Oltre agli amici e alle persone con cui ha condiviso pezzi della sua vita, la scelta si è concentrata sul tema ampio e diffuso della Poesia, abbiamo scelto persone che sapessero e volessero parlare con noi di una parola tanto abusata quanto bistrattata. Tutti usano la parola poesia, ma sono pochissime le case editrici che pubblicano poesia, non se ne parla in tv, poco sui giornali. Renzo Paris, Franco Cordelli, Elio Pecora, oltre a bellissime e affettuose testimonianze personali hanno portato analisi critiche sulla parola poetica di Bellezza, ma abbiamo anche cercato poesia in senso lato. Al di là della sua fama di personaggio maledetto e provocatorio, molti aspetti della sua vita mi hanno profondamente toccato, e ho cercato di restituirli in immagini, musica, tutto quello che il cinema permette… Insomma, l’ambizione era quella di fare un film poetico sulla poesia.
Veniamo all’archivio di Dario Bellezza che è un elemento imprescindibile del documentario.
Giuseppe Garrera, proprietario dell’archivio di Dario Bellezza, racconta che il giorno in cui l’archivio fu messo all’asta, lui non si presentò, pensando che ci sarebbe stata una gara delle istituzioni per accaparrarselo. Invece, non si presentò nessuno… Dopo qualche tempo comprò quindi lui l’archivio di Bellezza che conserva documenti fondamentali della nostra cultura. Il carteggio con la Rosselli, con la Ortese, con Pasolini, con la Morante, poesie inedite e molto altro.
L’ultima riflessione riguarda la scelta delle immagini di repertorio.
Il materiale di repertorio è molto bello, viene dall’Archivio dell’Istituto Luce e della Rai. In una trasmissione del 1979 Dario è intervistato da una giovane Adriana Asti, in un’altra si aggira tra i banchi del suo amato Campo de’ Fiori parlando di poesia. E poi c’è il famigerato litigio in diretta tra Bellezza e Aldo Busi, dove non si può non notare come siano cambiati i tempi: oggi si può immaginare una trasmissione che tratti di poesia, letteratura, cultura in prima serata che faccia quei grandi ascolti?