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Assange, giornalista da Pulitzer nel fumo di Londra

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È venuto il giorno del giudizio per il fondatore di WikiLeaks, Julian Assange. L’infinita sequenza della persecuzione verso il giornalista australiano, reo di avere svelato gli inconfessabili segreti delle guerre in Iraq e in Afghanistan nonché i non commendevoli colloqui tra le Cancellerie, è giunta alle sequenze finali.

L’High Court di Londra sta decidendo sull’ultimo appello del collegio di difesa – in cui lavora anche la moglie avvocata dell’inquisito Stella Moris – contro l’estradizione. Se è inutile cercare di entrare nella mente dei giudici, prefigurando gli eventuali scenari che si determinerebbero a seconda della tempistica della vicenda, è necessario sottolineare che – comunque – la storia del diritto all’informazione è a sua volta nei giorni del giudizio.

Se, malauguratamente, ne sortisse l’estradizione negli Stati Uniti, il colpo sarebbe letale per una persona che dal 2010 ha a che fare con la giustizia in virtù di una triangolazione perniciosa messa in atto da Svezia, Gran Bretagna e States: ma con effetti generali. La giurisprudenza si regge su leggi e precedenti. Ecco, si appalesa un caso denso di conseguenze per un intero capitolo delle libertà: Assange è un capro espiatorio, il nemico pubblico costruito a tavolino per chiudere la bocca a coloro che intendono svolgere inchieste eccentriche rispetto al cosiddetto mainstream: né paludate né corrive, lontane dal pensiero unico.

Del resto, le migliaia di Afghan War Logs e di Iraq War Logs (oltre alla miriade infinita di cablo) ci hanno detto verità negate sui conflitti che hanno segnato gli ultimi anni. Senza WikiLeaks oggi, ad esempio, sappiamo poco dell’Ucraina o di Gaza. Conosciamo le tragiche immagini di morte, ma le dinamiche reali sottese sono delegate al dibattito dei talk in cui spopolano veri o presunti esperti di geopolitica come fu con epidemiologi e simili nella vicina età del Covid.

Assange, in verità, meriterebbe il Premio Pulitzer, non certamente un procedimento già scritto in un tribunale della Virginia popolato dalla Central Intelligence Agency (CIA) e dai suoi familiari, con una condanna a 175 anni da scontare in un orribile penitenziario che neanche Clint Eastwood.

Comunque, il caso del secolo per ciò che concerne il rapporto tra potere-giustizia e informazione è rimosso dalle testate più grandi e occultato dai principali telegiornali. Malgrado siano ormai numerose le città che hanno conferito la cittadinanza onoraria ad Assange: da Reggio Emilia, a Napoli, a Vicovaro, a Bari, a Roma, a Bologna e Ivrea. E diverse altre municipalità hanno in corso l’iter formale.

Come ha messo in luce la recente puntata di Report, nella vicenda del ponte sullo stretto di Messina, proprio WikiLeaks aveva rivelato connessioni inquietanti con un certo ruolo svolto da ambienti d’oltre oceano.

E svariati quotidiani fecero grande uso delle notizie, prima di voltare la faccia.

La ripresa della trasmissione PresaDiretta lo scorso lunedì ha visto finalmente un ampio e documentato servizio sul processo, con interviste e servizi di prim’ordine.
È stata la prima di un ciclo che si annuncia di estremo interesse, come descritto nella conferenza stampa di presentazione di venerdì 16 febbraio tenuta da Riccardo Iacona: dalla crisi della democrazia, agli scenari di guerra, alla questione salariale delle donne, alla sanità pubblica, all’inquinamento, al mondo del lavoro, ai farmaci per il dimagrimento, alle ultime scoperte sull’idrogeno.

Report e PresaDiretta sono l’eccezione alla regola dell’attuale opaca Rai, ciò che resiste – insieme a poco d’altro – dell’idea di servizio pubblico. Non a caso ogni trasmissione ha come corollario polemiche e querele. Tuttavia, almeno un po’ si ritrova la nobile tradizione dell’azienda nelle rubriche di inchiesta. Quell’immagine che oggi si è andata disperdendo, salvo oasi di resistenza.

Le manifestazioni davanti alle sedi della Rai, arricchite da molti giovani, ci raccontano che le eccezioni devono assurgere a normalità. Si chiede di parlare di Gaza. E forse si vorrebbe sentire dal vivo Assange. Torniamo al fumo di Londra. Ci sono giorni che valgono anni.

Fonte: “Il Manifesto”


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