Andrea Delmastro delle Vedove non è uno Sgarbi qualunque, tanto che la presidente Meloni starà in giudizio contro Luciano Canfora (querelato) facendosi rappresentare legalmente proprio da lui. Anche per questo vale la pena seguire con attenzione le evoluzioni delle vicende che vedono protagonista il Sottosegretario del Ministro Nordio con delega alle carceri. Siamo infatti ad una nuova puntata, ancora una volta resa pubblica dal lavoro di scavo della giornalista Elisa Sola su la Repubblica, la stessa giornalista che prima di capodanno già aveva illuminato la storia di Roberto Streva, per vent’anni a capo del nucleo ispettivo della Polizia penitenziaria in Piemonte, sostituito a sorpresa mentre guidava delicate attività di polizia giudiziaria delegate da diverse procure piemontesi che stanno procedendo per ipotesi di abusi commessi nelle carceri. Sembrava già tanta roba, ma poi è partito quel colpo di pistola a Capodanno, che ha immortalato una curiosa scena familiare fatta di onorevoli fratelli ed agenti della penitenziaria, tra teglie di pasta al forno e polvere da sparo (che “nel” Delmastro andrebbe cercata anche attraverso il DNA, secondo il sempre bene informato Senatore di Rignano). Fatti e circostanze che hanno sollevato più di un interrogativo sulla reale natura dei rapporti tra Delmastro e certi ambienti della Polizia Penitenziaria e di conseguenza una seria perplessità sulla opportunità che Delmastro ricopra proprio quel ruolo nel Governo.
E così arriviamo all’ultima (soltanto in ordine di tempo) puntata della vicenda: Elisa Sola ha scoperto che il capo scorta di Delmastro, Pablito Morello, è lo stesso che il 3 Dicembre del 2001 venne denunciato da una educatrice del carcere di Biella che mise a verbale: “C’era un detenuto a terra, circondato da cinque o sei agenti. L’ispettore Pablito Morello era sopra di lui, lo insultava e gli sferrava calci e pugni. Preciso che il detenuto era senza camicia ed è poliomelitico”. Il verbale non è mai stato smentito, i processi scaturiti da esso non hanno però portato a nulla. Nessuna condanna e dopo dieci anni di travagli la vicenda si è chiusa.
Tutto considerato, è lecito domandarsi che rapporti ci siano tra Morello e Delmastro e se la promozione di Pablito Morello a capo scorta del potente Sotto segretario alla Giustizia possa essere letta come una sorta di risarcimento per l’onta subita. Un’onta forse tanto più indigeribile perché patita per mano di una quanto mai inopportuna educatrice ficcanaso, che avrebbe fatto meglio a restarsene nel suo ufficio quella mattina, invece di precipitarsi fuori a causa delle urla che aveva sentito.
I segnali infatti sono importanti ed abbiamo l’esigenza di capire se anche questo lo sia stato, visto che di segnali precisi all’universo carcere ed in particolare a certi ambienti della Polizia Penitenziaria questo Governo ne sta dando eccome. Due su tutti: il proposito di abolire il reato di tortura, che insieme all’abolizione del reato di abuso di ufficio, contribuirà a ridefinire il rapporto tra chi esercita il potere pubblico e chi no e l’introduzione del nuovo 415 bis che punisce (nelle carceri) la resistenza anche passiva all’esecuzione degli ordini impartiti, non ubbidire insomma diventa reato di per se stesso (potrebbe prendere spunto lo stesso Valditara!). C’è chi intravvede in questi provvedimenti l’intento di cancellare la Legge Gozzini e di modificare in maniera radicale il modo di governare le carceri. In questo quadro, se è legittimo che il Governo lavori per realizzare il proprio indirizzo (per quanto deprecabile) sulle carceri, non mi pare che lo sia altrettanto che ad intestarsi questo sforzo sia una persona sempre più sospettata di avere una confidenza tale con determinati ambienti della Polizia Penitenziaria da incrinare quella autorevolezza che invece il vertice dell’Amministrazione dello Stato dovrebbe sempre custodire come bene supremo. Quella autorevolezza evocata e pretesa dalla Costituzione agli articoli 97, che recita: “I pubblici uffici sono organizzati (…) in modo che siano assicurati il buon andamento e l’imparzialità dell’amministrazione” e 54, dove sta scritto “i cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche hanno il dovere di adempierle con disciplina ed onore (…)”.
Insomma: non è Andrea Delmastro la persona giusta in quel ruolo.
A meno di avere un giudizio positivo e per nulla problematico sulla sequenza di fatti che riguardano il rapporto tra Delmastro e la Polizia Penitenziaria. In questo senso, prima o poi, dovranno esplicitamente esprimersi tanto il Ministro, quanto la presidente Meloni (trovando finalmente il modo per fare propria la virile decisione di assumersi “la responsabilità politica, morale, storica di tutto quanto avvenuto”!).
Ad onor del vero bisogna infine ricordare che da qualche tempo a questa parte esiste in Italia una terza via per sottrarsi all’onere di esprimere un giudizio positivo o negativo su certi fatti: negare che i fatti siano esistiti. Semplice, no? Dobbiamo niente meno che alla Cassazione l’apertura di questa insperata terza via, a tanto infatti è servita la sentenza tombale sul processo che ha indagato la natura della trattativa tra pezzi di Stato e Cosa Nostra tra il 1992 ed il 1994. Che sollievo scoprire che in verità non era successo niente.
(Nella foto Andrea Delmastro)