Ultimo colpo di grazia, la Rai al tramonto

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Il consiglio di amministrazione della Rai (con sei voti a favore e l’astensione di Francesca Bria) ha varato il piano industriale della Rai 2024-2026 e il testo -già emendato dalla Commissione parlamentare di vigilanza- del Contratto di servizio con lo Stato.

Si potrebbe dire, niente di nuovo sotto il sole. Tuttavia, il sole non splende più su un servizio pubblico diventato via via un satellite minore. Fu il centro tolemaico del sistema, mentre ora riluce di una luce assai sfuocata.

Il colpo di grazia fu inferto nell’ultima legge di bilancio dalla Lega di Salvini, che fortissimamente volle la riduzione del canone di abbonamento. Odiata che sia la tassa -in verità la meno costosa d’Europa-, per quella via si sostiene l’ex monopolio mantenendo un po’ limitata la pubblicità.

Il testo del Contratto di servizio vale a dire la carta fondamentale che definisce diritti e doveri dell’azienda, si basava sulle risorse stabilite in precedenza. Quindi, l’articolato varato, che andrà per il varo formale al Consiglio dei ministri, risulta almeno in parte ingannevole. Gli obiettivi di qualità indicati non si sa che fine faranno. Ed erano piuttosto laschi. Generici i riferimenti strategici, relegati in un allegato i punti salienti e annacquato il riferimento al giornalismo di inchiesta: una riedizione sfuocata dell’omologo articolato deciso nel 2018 e prorogato fin qui, sporcata peraltro da qualche grottesca spruzzata di dio patria e famiglia (tradizionale, ovviamente).

Insomma, siamo di fronte ad un documento privo delle adeguate coperture e contraddittorio nel suo provincialismo rispetto all’evocazione di una media company con vocazione digitale.

Il sistema è ormai un flusso in evoluzione accelerata di tecniche e di modalità produttive dirette dall’intelligenza artificiale, sotto la dittatura di algoritmi né trasparenti né negoziati. In tal senso, l’investimento previsto di 225 milioni di euro, peraltro coperto da qualche vendita immobiliare ed essenzialmente da una discutibile cessione azionaria della società delle torri Rai Way, sembra nella mastodontica infosfera una briciola quasi ininfluente. Tra l’altro, la vicenda di Rai Way ha molti lati sgradevoli. Si tratta di uno dei pochi gioielli residui della Rai, che potrebbe intervenire con vantaggio indubbio per la casa madre nella discussone sulla cosiddetta rete unica delle telecomunicazioni. Il fare cassa (incredibilmente l’annuncio è avvenuto a borse aperte, con inevitabile caduta del titolo) attraverso un patrimonio così importante assomiglia alla vendita di una eredità di famiglia per pagarsi una cena o un viaggio di piacere.

Non solo. Sembra in agguato un’ipotesi scartata nel 2015: la fusione con la cugina di F2i e Mediaset Ei Towers. Un calcio sonoro sferrato ai rudimenti dell’antitrust? Nel caso l’ipotesi si concretizzasse, assisteremmo ad un vero e proprio blocco del mercato pressoché monopolistico. Ed è strano che non si senta la voce delle autorità competenti, davanti ad una situazione grave persino per il suo solo annuncio.

Il sindacato dei giornalisti ha giustamente denunciato l’assenza nel piano di un investimento sull’informazione, la componente che -insieme alla fiction- regge ancora il baraccone. Anche se la faziosità incredibile di una consistente quota delle testate (il Tg1 in testa) ha contribuito ad un consistente calo di audience.

L’ambizione di trasformare la Rai in un gruppo dinamico e capace di declinare con contenuti adeguati la corsa tecnologica non pare, dunque, avere solide fondamenta e neppure – il che è peggio- una reale visione volta a una nuova generazione di servizio pubblico.

Se non si immagina un’utopia realistica, che trasformi radicalmente un apparato nato in un’età lontana in tutti i sensi, si prospetta il viale del tramonto.

Una Rai controllata dal governo e priva di scintille rischia di uscire di scena.


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