È una notizia apparentemente di poco conto, relegata nelle pagine interne dei giornali e alla quale viene data un’attenzione minima da parte dell’opinione pubblica. Eppure, l’idea del ministro Sangiuliano (riportata ieri da Repubblica, a firma di Giovanna Vitale) di far nominare se stesso o, più probabilmente, un suo delegato nel Consiglio direttivo dell’Accademia del cinema italiano, l’istituzione che promuove i David di Donatello, se confermata, dovrebbe destare la nostra attenzione e anche una certa preoccupazione. Dopo aver fatto decadere i vertici del Centro sperimentale, ecco un’altra mossa, a quanto pare, volta a intaccare la presunta “egemonia culturale” della sinistra, aggrappandosi al fatto che finora ne ha sempre fatto parte il direttore generale del Cinema di stanza al dicastero della Cultura, che, in quanto ente vigilante, potrebbe configurare un conflitto di interessi, se non proprio un’incompatibilità, cui porre rimedio quanto prima.
Vedete, quando qualcuno afferma che sia sempre andata così, ecco, il punto è che non è vero, anche se sembriamo essercene dimenticati. Franceschini, ad esempio, nel 2015 fece inserire nella Legge di Bilancio la stabilizzazione del finanziamento per uno dei punti di riferimento della cultura italiana. Sappiamo bene, infatti, cosa rsppresenti l’Oscar del nostro cinema nell’immaginario popolare. E sappiamo anche che buona parte della coscienza critica di questo Paese deriva da lì. Del resto, se così non fosse, non staremmo assistendo a ciò cui stiamo assistendo.
L’impressione che si avverte, giorno dopo giorno, è che questa destra consideri la propria presenza al governo come un qualcosa di intangibile: gli elettori ci hanno premiato, dunque guai a chi osa metterci i bastoni fra le ruote, che si tratti dell’opposizione, di un gruppo di intellettuali o di chiunque altro faccia notare che le cose non vadano per il verso giusto.
Nei confronti dell’universo culturale, poi, i nostri eroi sembrano nutrire un’autentica ossessione, come se si fossero convinti di essere davvero degli “underdog” quando, in realtà, occupano da decenni posizioni eminenti. Basti pensare, ad esempio, che lo stesso Sangiuliano, prima di diventare ministro, non faceva il piccolo fiammiferaio ma il direttore del Tg2.
Lasci perdere, ministro. Glielo chiediamo sinceramente, per il bene di un patrimonio che ha senso solo se va al di là della contrapposizione politica fine a se stessa e favorisce, al contrario, un dibattito vivace fra posizioni differenti. Non attiri su di sé, almeno lei che è un uomo di indubbia cultura, il sospetto che sia proprio questo ciò che volete distruggere. Sappiamo che non è così ma sa, a volte, basta il semplice sospetto per screditare l’immagine dell’intero esecutivo.
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