La commedia premio Pulitzer di Tracy Letts, brillante drammaturgo e attore statunitense, in una accattivante edizione teatrale dall’atmosfera densa di caldissimi miasmi, scontri tellurici, miserie indicibili, ci offre uno spaccato impietoso dell’arida società americana, riflesso in una inquietante microcellula dai contorni taglienti, la famiglia Weston, colta in un momento di particolare tensione: la misteriosa scomparsa del capofamiglia Beverly. La sfilacciata trama dei legami familiari, di ispirazione čechoviana, ma anche di tanta drammaturgia americana contemporanea, sfila nuda e impudica davanti agli occhi dello spettatore, mostrando il suo squallore, i suoi vizi, le sue aberrazioni, i suoi scandali, scontri generazionali e di genere, in bilico tra l’horror e l’humour. In un fitto avvicendarsi corale di arrivi delle figlie Barbara e Ivy che vivono lontano dal clima arroventato di Osage County, dialoghi feroci tra la madre e la terza sorella Karen che vive in famiglia, dedita a improbabili amori, tra sorelle, fratello, cognata, nipoti, la commedia riflette, specchio deformante, lo squallore di un tessuto sociale tumefatto e disadorno, su cui a ritmo serrato i componenti del nucleo familiare intrecciano il loro malessere, la loro disperazione, la loro fatuità sotto gli occhi saggi e benevoli di Johnna, una giovane nativa americana, ingaggiata da Beverly come collaboratrice domestica prima della sua scomparsa.
Falliti negli affetti e nella vita lavorativa, incapaci di comunicare, tra una madre impasticcata con un metaforico cancro alla bocca, un padre poeta alcolizzato, tra rimorsi e rimpianti, i componenti del fatiscente “gruppo di famiglia in un interno” americano, tracciano un percorso fitto di litigi, rimostranze, rinfacciandosi a vicenda l’infelicità di cui portano i segni incontrovertibili, fino alla diaspora e al finale denso di pietà, ripercorso iconograficamente nell’abbraccio cullante dell’“indiana” alla madre rimasta sola.
L’efficace regia di Filippo Dini punta sulla vivacità e velocità dei movimenti e dei dialoghi a raffica, su una scenografia cangiante di pareti semoventi che evocano e intrecciano i vari ambienti della casa, su un cast formidabile che sostiene con intensità la frenesia strutturale del dramma mostrando classe e padronanza; dalla devastata Violet di Anna Bonaiuto, alla ferrigna Barbara di Manuela Mandracchia, al sedicente Bill di Filippo Dini, a tutti gli altri coprotagonisti, coesi in un’orgiastica danza familiare dagli esiti drammatici, sapidamente condita da un apprezzabile humour che sposta su un piano dinamico la pesante atmosfera di una cruda realtà dove l’amore ha disertato.
Non resta che constatare lucidamente e umoristicamente il fallimento dei vani tentativi di comprendersi e stare uniti di una famiglia che apre l’occhio e la mente dello spettatore, inevitabilmente coinvolto, dato lo spessore e l’universalità della tematica. La difficoltà dei rapporti tra consanguinei ci riguarda tutti, inesorabilmente.
L’opera costituisce un ottimo esempio di drammaturgia dove i contenuti sono nutriti e corroborati dall’arte e dall’onestà di intenti, operazione che non ha nulla da invidiare alla trasposizione cinematografica “I segreti di Osage County” con la leggendaria Meryl Streep.
AGOSTO A OSAGE COUNTY
di Tracy Letts
traduzione Monica Capuani
regia Filippo Dini
con Anna Bonaiuto, Manuela Mandracchia, Filippo Dini, Fabrizio Contri, Orietta Notari, Andrea Di Casa, Fulvio Pepe, Stefania Medri, Valeria Angelozzi, Edoardo Sorgente, Caterina Tieghi, Valentina Spaletta Tavella
dramaturg e aiuto regia Carlo Orlando
scene Gregorio Zurla
costumi Alessio Rosati
luci Pasquale Mari
musiche Aleph Viola
suono Claudio Tortorici
produzione Teatro Stabile di Torino – Teatro Nazionale
Al Teatro Verga di Catania fino al 10 Gennaio
Roventi famiglie in un arroventato “Agosto a Osage County” in palco