BASTA VIOLENZA SULLE DONNE - 25 NOVEMBRE TUTTI I GIORNI

Non c’è più niente da DiRE

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Veniva un nodo alla gola lo scorso lunedì mattina alla manifestazione
davanti alla sede dell’agenzia DiRE.
La foltissima partecipazione politica e associativa (con delegazioni del
partito democratico, del Mov5Stelle, di Alleanza Verdi-Sinistra, della Slc-
Cgil, della Fnsi, dell’Usigrai, dell’Associazione stampa romana, di
Articolo21 e di NoBavaglio) già registrata dalla cronaca de il manifesto
testimonia l’importanza della vertenza. Si stanno aggiungendo solidarietà
pure dal fronte della destra, forse perché è stata superata ogni misura.
È augurabile, anzi, che alla ritrovata unità in strada delle opposizioni
contro il governo faccia seguito un’iniziativa adeguata, a partire da
interrogazioni parlamentari condivise. Soprattutto è indispensabile la
delineazione di un’adeguata e moderna riforma organica del settore, che
manca di fatto dal 1981. Non si può aspettare ancora, visto che si stanno
determinando mutamenti sostanziosi in un mondo dell’editoria in forte
crisi e proprio per questo territorio di incursioni e di conquiste. Spicca
l’azione di Antonio Angelucci ora parlamentare di Fratelli d’Italia –
proprietario direttamente o indirettamente de Il Tempo, Il Giornale,
Libero e della filiera capeggiata dal Corriere dell’Umbria- interessato
all’Agenzia Italia e forse a la Repubblica, senza che una decente disciplina
del conflitto di interessi o un rigoroso tetto antitrust possano intervenire.
Insomma, la vicenda della DiRE va inquadrata in un contesto generale,
segnato dai reiterati tentativi di condizionare la libertà di espressione.
Le agenzie, la cui gara pubblica di assegnazione risulta quanto mai
contorta ed è ancora rinviata, sono un piatto prelibato nell’età
dell’omologazione e del pensiero che si vorrebbe unico.
Le fonti vanno addomesticate e messe sotto lo scacco dei finanziamenti,
cortesemente elargiti da uno stato nient’affatto imparziale e dedito se
mai ai rinvii.

Ecco perché la storiaccia di DiRE ci ammonisce su ciò che potrebbe
succedere pure altrove. Siamo di fronte non ad un eccesso o a un errore
di percorso, bensì ad caso estremo ma sintomo di una tendenza.
Regole e contratti vengono stracciati, le norme sono verosimilmente
aggirate. Atteggiamenti da padroncini del vapore, al cui confronto la
buon’anima di Marchionne appare un discolo dilettante, prendono forma.
Quattordici licenziamenti e diciassette sospensioni dal lavoro senza
retribuzione vergati tra Natale e Capodanno costituiscono il biglietto da
visita di una imprenditoria dai tratti inquietanti.
Dalla nascita della DiRE avvenuta nel 1988 su impulso di Tonino Tatò,
strettissimo collaboratore di Enrico Berlinguer, alle ultime tornate
proprietarie è passato davvero un secolo. Dopo la non commendevole
avventura di una gestione soggetta a procedimenti penali per bandi del
ministero dell’istruzione, ecco ora destreggiarsi al di sotto di ogni
sospetto la proprietà in capo a Stefano Valore di Villanueva de Castellòn
(fosse ancora tra di noi Paolo Villaggio ne trarrebbe ispirazione). Al netto
delle voci su qualche presunta simpatia politica di questo o quel dirigente,
ciò che appare chiaro è l’atteggiamento arrogante verso una redazione
che pure ha sempre svolto un ottimo servizio.
L’avvisaglia fu nei mesi scorsi la tentata defenestrazione dalla cronaca
parlamentare di uno storico esponente come Alfonso Raimo e ora la
tagliola virulenta rischia di essere il prototipo di un modello che si
avvicina alla Polonia e all’Ungheria.
Con parole chiarissime si è espressa la componente del comitato di
redazione Alessandra Fabbretti; ed è cruciale che agli incontri con il
sottosegretario con delega all’editoria Alberto Barachini, con le
organizzazioni sindacali e i gruppi parlamentari seguano atti concreti.
Se venissero ritirati i provvedimenti antisindacali decisi nei giorni passati,
si potrebbe sostenere la necessità in via eccezionale di ripristinare i
contributi pubblici bloccati (inevitabilmente) a causa dei procedimenti
giudiziari che lambiscono la società. Davanti ad un simile disastro,
un’eccezione si rende indispensabile.

La solidarietà e la lotta sono, però, sempre la priorità.


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