Trent’anni fa, il 28 gennaio 1994, una granata esplosa a Mostar, in Bosnia, uccideva il giornalista Marco Luchetta, l’operatore Alessandro Saša Ota e il tecnico di ripresa Dario D’Angelo, tutti e tre della Sede Rai del Friuli-Venezia Giulia, inviati sul fronte della guerra nella ex Jugoslavia. Nell’anniversario della loro morte la Struttura Programmi Italiani della Sede Rai del Friuli Venezia Giulia dedica loro il documentario “Mostar, trent’anni e oltre” di Piero Pieri con la collaborazione di Alessandro Spanghero e le riprese di Gianni Toffolutti, in onda domenica 28 gennaio alle 9.15 su Rai 3 regionale e alle 00.30 su Rai 3 nazionale, disponibile anche su RaiPlay, con replica mercoledì 31 gennaio alle 21.20 su Rai 3 bis (canale 810).
Il documentario propone tredici testimonianze di quanti hanno conosciuto i tre inviati, comprese quelle dei familiari che, con generosità, concedono alla telecamera l’intimità dei propri sentimenti, mentre le interviste ai colleghi che, negli anni ’90, lavorarono nelle zone di guerra nella ex Jugoslavia riportano lo spettatore italiano a quel conflitto e allo shock che procurarono quegli eventi nelle popolazioni italiane di confine. Il lavoro dei corrispondenti e delle troupe che attraversarono i conflitti tra sloveni, croati, serbi, bosniaci, kossovari fu rischioso, ma determinante per la conoscenza di quella guerra feroce e difficilissima da capire nelle dinamiche e nelle motivazioni. La loro esperienza di fine ‘900 determinò, inoltre, un cambio di passo nel mestiere del giornalismo di guerra che, fino a quel momento, in Italia non aveva tradizione e che dovette adattare in fretta modalità di organizzazione e di sicurezza.
Quel tragico fatto divenne anche la spinta per la nascita della Fondazione Luchetta, Ota, D’Angelo, Hrovatin che, in questi trent’anni, ha accolto e curato centinaia di bambini vittime con le loro famiglie di conflitti e in gravi condizioni di necessità.
In questo modo, a distanza di trent’anni, emerge la grande eredità che quel tragico fatto ha lasciato nei professionisti dell’informazione, nella cittadinanza che partecipò con affetto al lutto dei familiari, nel pensiero comune che non deve abbandonare mai il fermo rifiuto della violenza. Per questo motivo le testimonianze dei figli e delle mogli dei colleghi della Rai morti a Mostar quel gennaio del 1994 incarnano un potente antidoto all’ignoranza e all’orrore della guerra.