Il 24 gennaio, a meno che non sia rinviata per l’ennesima volta, al Tribunale di Roma si terrà l’udienza preliminare decisiva per il processo sull’uccisione dell’ambasciatore italiano nella Repubblica democratica del Congo, Luca Attanasio, e del carabiniere che gli faceva da scorta, Vittorio Iacovacci, vittime di un agguato il 22 febbraio del 2021 nella provincia congolese del nord Kivu insieme all’autista del World food programme Mustapha Milambo. Invece, il 21 dicembre.
“È assurdo che ci voglia tutto questo tempo per una decisione scontata – ha reagito con veemenza Dario Iacovacci, fratello del carabiniere ucciso – evidentemente c’è qualcosa che non sappiamo. A me sembra che si voglia mettere tutto a tacere, visto che secondo la “politica” c’è da pensare ad altri italiani che sono fuori e, di fondo, si ritiene che non ci siano le prove per accertare le responsabilità dei due funzionari del World food programme per quanto accaduto. Non ci resta che affidarci alla magistratura, fiduciosi che tenga come al suo solito una linea retta senza ascoltare i pareri dei nostri politicanti alquanto sconcertanti»
L’ennesimo rinvio, per motivi di salute del giudice, ha lasciato l’amaro in bocca anche al padre dell’ambasciatore.
L’ingegnere Salvatore Attanasio ha ribadito anche al capo servizio per gli affari giuridici, il contenzioso diplomatico e i trattati del ministero degli Esteri. Stefano Zanini, convocato come teste sulla questione dell’immunità, lo sconcerto per la mancata costituzione del governo come parte civile.
Nonostante si ritenga che la Farnesina sia pronta a fornire elementi che possano avvalorare la richiesta dei difensori del vice direttore del Wfp in Congo, Rocco Leone, uno dei due dipendenti dell’agenzia Onu su cui pende la richiesta di rinvio a giudizio avanzata dal procuratore aggiunto Sergio Colaiocco e dalla sostituta
Gianfederica Dito per omesse cautele, falso e omicidio colposo, l’accusa ritiene che «non ci siano i precedenti giuridici per poter rivendicare il rispetto di una “prassi consolidata” per ciò che concerne i diritti del personale diplomatico piuttosto che della Convezione tra Nazioni Unite e ministero degli Esteri».
I pm sono fermamente convinti delle responsabilità di Leone che, insieme al suo sottoposto Mansour Rwagaza la cui posizione è stata stralciata dal troncone principale del procedimento giudiziario poiché risulta irreperibile, aveva organizzato la missione durante la quale Attanasio, Iacovacci e Milambo persero la vita.
In particolare i due indagati sono accusati di avere “attestato il falso, al fine di ottenere il permesso dagli uffici locali del Dipartimento di sicurezza dell’Onu, indicando nella richiesta di autorizzazione al viaggio, al posto dei nominativi dell’ambasciatore Attanasio e del carabiniere Iacovacci – come ha spiegato in una nota la Procura motivando la richiesta di rinvio a giudizio – quelli di due dipendenti del Wfp così da indurre in errore gli uffici in ordine alla reale composizione del convoglio e ciò in quanto non avevano inoltrato la richiesta, come prescritto dai protocolli Onu, almeno 72 ore prima“. In una zona pericolosa come quella attraversata dalle due auto del Wfp con a birdo il nostro diplomatico, dove si concentrano tanti gruppi armati coinvolti negli scontri di uno dei tanti conflitti che si combattono in questo martoriati paese, andavano garantite misure di sicurezza di altissimo livello di attenzione.
Se Leone e Rwagaza avessero rispettato i protocolli, sarebbe stata attivata una scorta armata e Attanasio, Iacovacci e Milambo sarebbero ancora vivi.