Non saranno in molti a occuparsi di Kenneth Eugene Smith: in fondo, era un assassino. Per fortuna, però, la barbarie dell’Alabama, uno degli stati americani da sempre più retrogradi e razzisti, ha indotto persino la Casa Bianca a porsi pubblicamente la domanda se sia ancora lecita la pratica disumana della pena di morte.
L’uomo in questione, giovedì scorso, è stato asfissiato con l’azoto. Non essendo riusciti a praticargli l’iniezione letale nel corso di un precedente tentativo di eliminarlo, hanno fatto ricorso a una modalità ancora più macabra. E noi ci auguriamo di cuore che, per eterogenesi dei fini e utilizzando un linguaggio che a loro piace e a noi fa ribrezzo, si siano scavati la fossa da soli. Talmente è disumano, criminale e assurdo questo genere di omicidio, infatti, che l’indignazione popolare, forse, stavolta ha qualche speranza di incidere nel dibattito politico. E anche se la Corte Suprema è la peggiore di sempre, nominata per lo più da un accanito sostenitore delitto di Stato come Trump, difficilmente potrà essere dimenticata l’agonia di Smith.
Pur avendolo criticato molte volte, rendiamo omaggio a Joe Biden. Ben sapendo quanto l’America profonda sia ancora favorevole a questa pratica, il presidente, a differenza di Clinton, che nel ’92, spinto dalla moglie, andò addirittura ad assistere a un’esecuzione in Arkansas per guadagnare consensi nella corsa alle Presidenziali, ha cominciato difatti a dire basta. Ci auguriamo adesso che “le vene aperte degli Stati Uniti”, riadattando il titolo di un capolavoro di Galeano, sanguinino al punto che qualcosa cambi davvero. Va detto, a tal proposito, che ventitré stati su cinquanta l’hanno già abolita e in molti è, di fatto, inutilizzata, ma fino a quando questo abisso morale non sarà scomparso dalla faccia della Terra non potremo fermarci. Senza ammantarmi di alcuna superiorità, sono orgoglioso di vivere in un continente che ha posto la sua abolizione come elemento imprescindibile per aderire all’Unione Europea. E sono ancora più orgoglioso del fatto che noi italiani abbiamo scritto in Costituzione che la ripudiamo e, dal 2007, l’abbiamo eliminata anche dal Codice militare di guerra.
Spiace dirlo, ma in questi giorni ci torna in mente Primo Levi: “Considerate se questo è un uomo”. E aggiungiamo che l’America potrà parlare compiutamente di diritti umani e dignità della persona, facendo le pulci alle altre superpotenze, solo quando avrà eliminato dal suo ordinamento quest’indecenza. Per ora, sappiamo invece che tre stati (Alabama, Oklahoma e Mississippi) hanno adottato il metodo dell’azoto, ben coscienti di cosa significhi soffocare un essere umano torturandolo in maniera atroce.
Sarebbe opportuno, e questo messaggio va rivolto soprattutto alla nostra categoria, smetterla anche di utilizzare il verbo “giustiziare”, che presuppone l’esistenza di una qualche giustizia in un’azione che di giusto non ha nulla. Le esecuzioni sono eredi degli antichi linciaggi: non c’è niente di più inaccettabile. E un Paese che non ha ancora saputo fare i conti con se stesso, le proprie storture e le proprie contraddizioni difficilmente può dar lezioni agli altri.
Onore, dunque, a Joe Biden che, seguendo le orme di Michael Dukakis, colui che da governatore del Massachussets aveva riabilitato la memoria di Sacco e Vanzetti nel cinquantesimo anniversario del loro martirio e che nella campagna elettorale dell’88 ribadì la propria contrarietà alla pena capitale, ha avuto il coraggio di dire no a quest’aberrazione, costi quel che costi. Il movimento abolizionista ora è più forte, ma qualora a novembre dovesse tornare il magnate newyorkese, sarebbe la fine.
Guardate, ve lo dico con sincerità: di Biden ho condiviso molto poco in questi anni. Auspico, tuttavia, un suo successo, che quasi di sicuro, se dovesse arrivare, non sarebbe ampio. Per quanto abbia fatto ormai il suo tempo, infatti, bisogna prendere atto che l’alternativa, soprattutto per quanto concerne i diritti umani, ma non solo, equivarrebbe alla fine della democrazia in America e, di conseguenza, anche da noi.