Sembra di essere tornati indietro di un quarto di secolo, quando il governo del Regno Unito respinse la richiesta di estradizione dell’ex dittatore cileno Augusto Pinochet dopo che i giudici di Londra avevano dato parere favorevole. Il paragone non è eccessivo. Il 12 gennaio, contro il parere della Corte di cassazione, il ministro della Giustizia Carlo Nordio ha rifiutato l’estradizione di don Franco Reverberi, ricercato per crimini contro l’umanità dall’Argentina, lo stato in un cui centro di detenzione, durante la dittatura militare, aveva svolto la funzione di cappellano. Le motivazioni, le stesse: l’età avanzata e le precarie condizioni di salute.
Ma se don Reverberi ha potuto avvalersi di queste circostanze, la colpa è italiana. La giustizia dell’Argentina lo cercava da quando, nel 2010, nel corso di un processo era emerso il nome del prete di Sorbolo (in provincia di Parma), del quale si ricordava la costante presenza durante le sedute di tortura nella prigione di Mendoza.
Una prima richiesta di estradizione, per crimini contro l’umanità, era stata rigettata dall’Italia nel 2013. Il motivo? I reati di cui era accusato, imprescrittibili in Argentina, da noi erano prescritti. Allora, i magistrati argentini avevano modificato la richiesta. Nell’ottobre 2023 la Corte di cassazione aveva pronunciato il sì definitivo. Così, a distanza di quasi 45 anni dai fatti imputatigli, don Reverberi ne risponderà solo di fronte al suo “superiore”. Ma non alla giustizia terrena.