Una poesia iraniana recita “la fine della notte nera è bianca”. Ma nelle ultime settimane, la fine della nera è ancora più nera. Le impiccagioni in Iran avvengono all’alba, subito dopo la chiamata di muezzin per la preghiera di mattina, che ormai non annuncia l’inizio di un giorno nuovo, ma la fine di qualche vita. E così domenica sera non sono andato a dormire, terrorizzato del risveglio del giorno dopo.
All’alba di lunedì hanno infatti hanno impiccato quattro militanti curdi del Patito Komala del Kurdistan Iraniano. Erano stati arrestati 19 mesi prima, quando si erano recati dal Kurdistan iracheno in Iran, disarmati, per alcuni incontri con i loro compagni, in una città curda iraniana. Si chiamavano Pejman Fatehi,Mohsen Mazloom. Mohammad Faramarzi e Vafa Azarbar. Durante il mio ultimo viaggio nel Kurdistan iracheno, avevo conosciuto tre di loro.
Qualche giorno prima avevano impiccato altri due detenuti politici: Mohammad Ghobadlou, arrestato durante le proteste del 2022 e Farhad Salimi, un religioso curdo e sunnita in carcere da 14 anni. Altri prigionieri politici condannati recentemente alla pena di morte che in qualsiasi momento potrebbero finire sulla forca sono il medico iraniano-svedese Ahmad Reza Jalali, il giornalista con la doppia cittadinanza iraniana e tedesca Jamshid Sharmahd, l’iraniano di etnia araba Abbas Driss, arrestato durante le proteste di novembre 2019, Mujahid Kurkur e Reza Rasaie, arrestati durante le proteste del 2022, ed altri ancora. L’elenco è lunga.
La macchina della morte non si ferma nella Repubblica Islamica. 65 esecuzioni dall’inizio dell’anno e oltre 700 nel 2023. Oltre due esecuzioni al giorno. E tutto questo nella quasi indifferenza dell’opinione pubblica internazionale ed avvolto nel silenzio totale dei paesi occidentali.
Questo per non parlare dei processi sommari e condanne pesanti contro i dissidenti e prigionieri di coscienza. Solo nei primi 10 giorni del 2024, a 35 dissidenti sono stati inflitti un totale di 218 anni e 11 mesi di carcere, oltre che 213 frustate. Perché nella Repubblica Islamica condannano i dissidenti anche a frustate. Nella Repubblica Islamica è in vigore anche il cosidetto “legge del taglione”. Proprio nei giorni scorsi Mehdi Mussavian, arrestato durante le proteste del gennaio 2018, è stato condannato ad essere accecato da un occhio, in quanto un sasso da lui lanciato contro la polizia aveva accecato uno di loro.
(Nella foto Mohsen Mazloom e Mohammad Faramarzi)