Si parla nell’ultimo anno molto di coraggio dimostrato dalle donne iraniane. Loro hanno iniziato la rivolta noto universalmente come “Donna, Vita, Libertà”. Una protesta che forse ha lasciato le piazze, ma che continua con altre forme di protesta, dal rifiuto di indossare l’hijab obbligatorio a un ampio movimento di scioperi e di proteste dei salariati in tutto il paese.
Quanto segue è il racconto di una di queste giovani donne, Roya Heshmati, condannata a 74 colpii di frustate per essersi rifiutata di indossare il copri capo obbligatorio. Roya Heshmati era stata condannata falla sezione 26 del Tribunale della Rivoluzione di Teheran a 13 anni e 9 mesi di carcere. Pena ridotta poi ad una multa e 74 colpi di frusta. Roya è una giovane ragazza curda nata a Sanandaj, nel Kurdistan iraniano che vive a Teheran con i genitori. Roya che ha 23 anni era stata arrestata il 21 aprile 2023 e rilasciata dopo 11 giorni di carcere. La giovane ragazza curda si è presentata il 2 gennaio scorso, accompagnato dal suo legale, Maziar Tataie negli ufficia giudiziario per l’esecuzione della condanna. Tutto ciò è avvenuto il 2 gennaio, che nella Repubblica Islamica è la giornata dedicata alla donna. Ecco il racconto di quella giornata pubblicata da Roya su Instagram. Un racconto che le è costata una nuova convocazione da parte della magistratura iraniana.
L’impiegato dell’ufficio giudiziario ha detto: “mettiti la sciarpa in testa per non finire nuovamente nei guai”.
Ho risposto: “sono venuto per l’esecuzione della sentenza che mi avete inflitto, non mi copro le testa, frustami, “.
Contattano i loro capi e poi arriva il boia che mi dice: “Indossa il tuo hijab e seguimi”.
La mia risposta e’ stata sempre la stessa: “non mi copro il capo”.
Il boia mi avverte:” ti frusterò in modo che tu possa capire ti trovi, e poi sarai inviata nuovamente davanti al giudice, e subirai altre settantaquattro frustate”.
Non faccio un solo passo indietro. Mi rifiuto di indossare il copri capo.
Scendemmo in una cantina, dover c’erano alcuni ragazzi in attesta di ricevere le loro frustate per consumo di bevande alcoliche.
Nuovamente mi chiedono di coprirmi il capo. La mia risposta è sempre un no. Arrivano due donne velate e cercano di coprirmi i capelli con un velo, faccio cadere ilo velo. Queto tentativo si ripete piu’ volte ed alla fine mi amanettano, e mi coprono la testa.
Mi portano in un’altra stanza, accompagnato dal boia e da una di queste donne che sospira e in un orecchio mi dice: “Lo so, lo so”. Arriva il giudice che mi ricorda uno dei personaggio del romanzo “la civetta cieca”( il noto romanzo dello scrittore Sadeq Hedayat tradotto in italiano da Anna Vanzan e pubblicato da Carbonio Editore). Mi rifiuto di guardarlo in faccia e gli volto le spalle.
Aprono una porta di ferro vedo una stanza le pareti di cemento, in fondo un lettino con le manette per legare le mani e i piedi e un dispositivo di ferro simile alla base di un cavalletto da disegno.
Una camera di tortura medievale.
Il giudice mi chiede: “Sta bene, signora?” non ha problemi?”
Non gli ho risposto come se non esistesse. Lui continua: “Sono con te, signora”. Nessuna risposta da parte mia.
Il boia mi dice: “Togliti il cappotto”.
Ho appeso il cappotto e la sciarpa alla base del cavalletto. Il boia insiste: “Mettiti la sciarpa”.
Rispondo: “Non lo farò. Metti il tuo Corano sotto le ascelle e frustami. (Chi frusta deve tenere il Corano sotto le ascelle).
La donna velate mi dice: “Per favore, non essere testarda” e mi mette lo scialle sulla testa.
“Non colpire troppo forte”, dice il giudice al boia.
Il boia inizia a colpirmi con la sua frusta sulle la schiena, i fianchi, le cosce, le gambe, ed io smetto di contare i colpi. Mentre lui mi frustava io sottovoce ripetevo “in nome di donna, vita, Libertà abbiamo stracciato le vesti della schiavitù, dopo la notte boia arriva l’alba e le fruste diventeranno asce.”
Finite le frustate ho ho voluto pensare al dolore, sono troppo meschini per questa soddisfazione. Mi riportano al piano di sopra, nella stanza del giudice. Si ripete nuovamente la storia di volermi coprire il capo con io che mi oppongo.
Il giudice mi dice: “noi non siamo contenti di imporre queste sentenze, ma è la legge e deve essere eseguita. Mi rifiuto di rispondere. Lui continua: “Se vuoi vivere in modo diverso, puoi essere all’estero”.
Qui decido di risponderli: “questo è anche il mio il paese”.
Lui mi risponde: “E’ vero, ma la legge deve essere rispettata”.
Io le rispondo: “le legge faccia il suo percorso, e noi continueremo la nostra resistenza.”
Uscendo dalla stanza e ho tolto nuovamente la sciarpa.