Ha ragione la senatrice Ilaria Cucchi: in carcere ormai ci finiscono quasi solo gli ultimi, i deboli, i disperati. Ragazzi come Matteo Concetti, ad esempio, ventitreenne di buona famiglia ma affetto da un conclamato disturbo bipolare, fragile, spaventato, con alle spalle una vita difficile, problemi di droga e una marginalità sociale che non faceva, tuttavia, di lui un delinquente. Matteo avrebbe dovuto essere curato, accudito, accolto, non sbattuto in carcere per aver tardato di un’ora sul rientro a casa mentre era sottoposto a un regime alternativo di detenzione con degli obblighi da rispettare. Che fosse troppo debole per essere recluso al Montacuto di Ancona era evidente. Eppure questo è il nostro Paese, incapace di farsi carico di chi ne avrebbe bisogno senza mettere in atto quell’azione punitiva che sembra essere diventata, al contrario, la nostra cifra esistenziale.
Matteo era finito in cella d’isolamento per aver aggredito una guardia a colpi di sedia. Stava male, era visibilmente provato. Il suo possiamo definirlo un suicidio annunciato. Aveva detto, infatti, alla madre: “Mamma, se mi riportano giù in isolamento, mi impicco”. Roberta Faraglia ha anche scritto a Cucchi, ma purtroppo era tardi. Ha raccontato in un’intervista a Repubblica: “Matteo era agitatissimo, ci ha raccontato che la mattina era stato picchiato da un agente mentre altri due lo tenevano fermo, che aveva paura di state in quella cella da solo, al freddo, senza finestre. Stava male, io sono un’operatrice sanitaria, lo capisco, conosco mio figlio. Ho capito subito che c’era qualcosa che non andava, che non gli davano le sue medicine. Ho provato a rassicurarlo, gli ho detto che a breve lo avrei tirato fuori da lì per portarlo in comunità, di resistere ancora due giorni. Era veramente sfinito”. La signora Faraglia aveva capito che duo figlio non stesse scherzando. Lo aveva detto a chiunque: dall’infermiere al cappellano, fino agli avvocati e al tutore che gli era stato nominato. Nessuno l’ha ascoltata. È un altro, però, il passaggio che colpisce maggiormente: “Adesso denuncio tutti. Denuncio il carcere e lo Stato che me lo ha ammazzato. Non lo faccio per soldi ma per ridare a mio figlio quella dignità che lo Stato gli ha tolto da quando aveva quindici anni. Era un ragazzino incontenibile, sempre agitato, gli hanno diagnosticato un disturbo bipolare, poi è arrivata la droga. È stato due anni in comunità, poi gli avevano dato una pena alternativa a casa che gli consentiva di lavorare per scontare pochi mesi per una condanna, ma ha sgarrato di un’ora e lo hanno buttato in carcere. Nessuno è mai riuscito ad aiutarci”.
Matteo, ribadiamo, avrebbe avuto bisogno soprattutto di qualcuno che, come diceva lui, gli togliesse l’angoscia dalla testa. Aveva bisogno di vita, non di detenzione, di crudeltà, di morte.
Allo stesso modo, vorremmo sapere cosa è accaduto nel Padiglione Napoli del carcere di Poggioreale ad Alessandro Esposito, trentatré anni, anche lui gravato da problemi di droga, trovato morto in cella in circostanze non ancora chiarite. Suicidio o omicidio? Non si tratta più di singoli casi, ma dell’allarme lanciato da Samuele Ciambriello, garante dei detenuti della Campania, e riportato dal Mattino: le carceri italiane e campane sono piene di tossicodipendenti e malati psichici. E questo è un fallimento della comunità nel suo insieme, nessuno escluso.
Sempre a Napoli, infine, è in carcere il venticinquenne nigeriano Elvin Egubon, arrestato per un’estorsione da due euro, dietro le sbarre da venti mesi con il rischio di dovervi rimanere cinque anni.
Mendicante, senza fissa dimora e irregolare in Italia: non vorremmo che fossero queste le sue vere colpe. E non ci si venga a dire che si tratta di vite marginali perché in galera ci sono quasi sempre gli “scarti” della società, coloro di cui cui non vogliamo comprendere né accettare la personalità difficile e il disagio, coloro che non abbiamo alcuna intenzione di recuperare. È la famosa “cultura dello scarto” di cui parla papa Francesco, che sta trasformando le case circondariali in cimiteri per chi è nato indietro.
La Presidente del Consiglio parla spesso di “orgoglio italiano”. Mi perdonino lei e il prode Delmastro, sottosegretario al Ministero di Grazia e Giustizia con delega alle carceri nonché illustre ospite alla festa di Capodanno nel biellese cui era presente anche il deputato pistolero Pozzolo, ma io in questo momento provo solo dolore e vergogna.
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