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Gaza: il buio oltre la strage

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Dopo 90 giorni di attacchi violentissimi contro la martoriata popolazione di Gaza, effettuati congiuntamente da terra, dal cielo e dal mare, il numero delle vittime accertate ha raggiunto quota 23.000 e quello dei feriti ha superato quota 57.000. Si tratta di cifre destinate a crescere notevolmente, non solo perché non si vede alcun cessate il fuoco all’orizzonte, ma anche perché risultano disperse altre 7.000 persone, molto probabilmente ancora sepolte dalle macerie, mentre i feriti non possono essere curati, stante la chiusura di 21 dei 36 ospedali della Striscia di Gaza, l’uccisione di centinaia di medici e paramedici e la scarsezza di medicinali ed energia elettrica. Una larghissima percentuale delle vittime sono minorenni. L’uccisione di 8.500 fanciulli, senza contare i dispersi farebbe impallidire persino Erode che duemila anni fa non esitò ad ordinare la strage degli innocenti per tutelare la “sicurezza” del suo trono, ma non provoca alcun turbamento nel governo israeliano. Del resto quei fanciulli, divenuti un po’ più grandi, avrebbero avuto la tentazione di imbracciare il mitra per vendicare i loro fratellini, le loro madri, i loro padri uccisi dal fuoco israeliano. Uccidere i bimbi palestinesi in fasce, o ancora nelle incubatrici, in fondo costituisce una difesa preventiva contro il terrorismo. E’ noto infatti che i bombardamenti, le uccisioni mirate, le incursioni armate in territori altrui, se compiute da Israele o dagli Stati Uniti, sono azioni legittime di difesa, mentre le azioni uguali e contrarie compiute da altri sono deprecabili atti di terrorismo.

In tutte le guerre il sangue, le stragi, sono un costo per ottenere un obiettivo politico, non sono il fine ultimo della guerra, a meno che non si assuma come obiettivo finale il genocidio, la soppressione della popolazione nemica. Recentemente il Presidente Mattarella ci ha svelato il vero obiettivo politico perseguito dalla Russia: annettersi l’Ucraina. Saremmo grati se Mattarella potesse svelarci il vero obiettivo politico perseguito da Israele. Siamo convinti che deve essere un obiettivo di un valopre indiscutibile, tant’è vero che né Mattarella, né i coraggiosi leader politici italiani ed europei (salvo i leader di Spagna e Belgio) si sono azzardati a chiedere il cessate il fuoco. Dopo 90 giorni, un po’ alla volta i dirigenti politici israeliani fanno intravedere cosa pensano di fare, anche se i loro piani appaiono divergenti. Il ministro delle Finanze israeliano, Bezalel Smotrich, in una dichiarazione riportata dal Times of Israel ha affermato che esiste un ampio sostegno pubblico per «l’emigrazione volontaria degli arabi di Gaza e il loro assorbimento in altri paesi». Una tale politica è necessaria perché «un piccolo Paese come il nostro non può permettersi una realtà in cui a quattro minuti dalle nostre comunità si trova un focolaio di odio e terrorismo, dove due milioni di persone si svegliano ogni mattina con l’aspirazione alla distruzione dello Stato di Israele». Un piano differente per il Day after è stato esposto dal Ministro della difesa Gallant in una conferenza stampa tenuta il 4 gennaio. Gallant ha delineato una ”piazza civile a quattro angoli” che comprende Israele, i palestinesi, una task force multinazionale e l’Egitto. Sarà una forza multinazionale guidata dagli Stati Uniti, in collaborazione con gli alleati europei e arabi di Israele, che si assumerà la responsabilità della ricostruzione di Gaza dopo la guerra. Saranno i palestinesi, e non gli israeliani, a ”gestire gli affari civili a Gaza nel dopoguerra”, mentre Israele manterrà il controllo della sicurezza. Quello proposto è una sorta di rebus politico, una forza multinazionale di paesi amici di Israele dovrebbe avviare la ricostruzione a Gaza, i palestinesi dovrebbero gestire da se stessi gli affari civili, però Israele manterrebbe il controllo della “sicurezza”, vale a dire che si riserverebbe il diritto di arrestare o uccidere chi gli pare e di controllare tutto quello che entra o esce da Gaza. E’ evidente che questo progetto non può funzionare. Fin quando Israele pretenderà di mantenere il controllo di sicurezza di Gaza, il conflitto non avrà fine e non potranno essere ripristinate le condizioni minime di vita per la popolazione di Gaza. Il cessate il fuoco è una necessità improrogabile per qualunque soluzione politica ma non basta Per porre fine al conflitto si deve togliere lo scarpone chiodato di Israele dal collo degli abitanti di Gaza. La Striscia di Gaza deve essere separata da Israele ed il controllo deve essere affidato ad una missione civile e militare delle Nazioni unite, che impedisca gli atti di ostilità da entrambe le parti e ponga fine all’assedio, ripristinando le telecomunicazioni, i collegamenti aerei e marittimi della Striscia con il resto del mondo. E’ questo un presupposto indispensabile per avviare la ricostruzione e ogni altro programma indispensabile per consentire alla popolazione civile di superare i traumi prodotti dai massacri e dalle distruzioni della guerra.

Certo per superare i conflitti bisogna affidarsi all’ONU e alle regole del diritto internazionale, invece di metterle da parte confidando nella legge del più forte.


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