Per nulla caro professor Galli della Loggia,
lei deve sapere che un tempo ero un cretino. Quando avevo tredici anni, infatti, sentendomi, e probabilmente essendo, più avanti di molti miei compagni di classe, sia per quanto concerne la preparazione che la maturità, non accettavo che qualcuno potesse rallentare la mia corsa. Avrei voluto ardentemente che i più fragili venissero sospesi e bocciati, esclusi, mandati via. Avrei voluto che i docenti avessero assai meno pazienza, che non si sforzassero di recuperarli, che se ne infischiassero delle loro lacune e si occupassero solo di quelli come me, provenienti da famiglie colte e medio-borghesi e, di conseguenza, pronti a spiccare il volo. Un giorno, tuttavia, la professoressa di lettere, Angela Incardona, mi fece capire che, a furia di pretendere di fare tutto da solo, sarei pure potuto arrivare in alto, ma avrei parlato a me stesso. Con innata saggezza siciliana, mi prese per mano e mi fece capire, senza umiliarmi, che il mio atteggiamento, volto a porsi sul piedistallo fino a umiliare gli altri, oltre a essere antipatico e controproducente, sarebbe stato la mia rovina.
Vede professore, il barista, il barbiere, il muratore e l’idraulico sono tutte persone che, probabilmente, ne sanno meno di me di giornalismo, letteratura e via elencando; tutti loro, però, loro sanno svolgere professioni che io non so fare, eppure essenziali per la società.
Allo stesso modo, sia nel Milan di Ancelotti che nella Nazionale di Lippi, uno dei giocatori più importanti era Gattuso. Non Pirlo, non Seedorf, non Rui Costa ma il mediano per eccellenza, il perno del centrocampo senza il quale i fuoriclasse che lo circondavano non avrebbero mai potuto esprimere al meglio il proprio talento, per il semplice motivo che nessuno avrebbe mai passato loro la palla dopo averla tolta agli avversari.
Il suo modello di società, dunque, non è solo escludente e invivibile ma anche perdente, come del resto tutti i modelli di società nei quali qualcuno pensa di poter fare tutto da solo lasciando indietro i più fragili. Si vince e si perde in undici: nel calcio e nella vita.
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