Da Francese a Mostar, l’informazione sotto assedio 

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Mario Francese cadde a Palermo quarantacinque anni fa: la sua colpa era aver denunciato gli orrori della mafia in una terra bellissima e dannata, insanguinata da una faida senza fine fra clan rivali e letteralmente stuprata dalle colate di cemento e dalle malversazioni di una classe dirigente spesso collusa e affarista, anche per ragioni storiche legate alle vicende di guerra. 

Luchetta, Ota e D’Angelo caddero, invece, a Mostar trent’anni fa, mentre raccontavano l’orrore della guerra in Jugoslavia. 

Si tratta, dunque, di morti sul lavoro, di persone assassinate mentre garantivano alla cittadinanza il diritto a essere informata. E quelli che per noi sono meriti straordinari erano palesemente gravi colpe agli occhi dei padroni del vapore che regolavano gli affari in Sicilia e di quanti non volevano che si sapesse ciò che di terribile stava accadendo sull’altra sponda sull’Adriatico.

Oggi, sia pur in modo meno drammatico, l’informazione subisce un altro assedio. Querele temerarie, bavagli, richieste di risarcimenti sempre più insostenibili, la mancanza di editori puri, gruppi editoriali mastodontici che, talvolta, servono a nascondere le notizie anziché a darle, per coprire gli interessi privati di chi li controlla, e altre storture che stanno conducendo l’Italia nel baratro: questo è il quadro che si delinea davanti ai nostri occhi. Abbiamo, tuttavia, un antidoto: raccontare, che come insegnava Sepúlveda è anche un ottimo modo per resistere. Raccontare ai più giovani chi fosse Mario Francese, il cronista del “Giornale di Sicilia” assassinato la sera del 26 gennaio 1979 davanti a casa sua per aver descritto alla perfezione la mafia degli appalti, evoluzione subdola di Cosa Nostra, già immersa, a modo suo, nella modernità e per nulla disposta ad accettare che qualcuno ne illuminasse i traffici e i suoi molteplici rapporti politici. Era solito lasciare la redazione con questa battuta: “Uomini del Colorado, vi saluto e me ne vado”. Quella sera se n’è andato per sempre, e a noi non resta che il rimpianto per tutto ciò che avrebbe potuto ancora scrivere, per i mille punti oscuri che avrebbe potuto far conoscere, per gli aspetti della Piovra che magari sono emersi dopo, con anni di ritardo, continuando nel frattempo a infestare una regione abbandonata a se stessa e preda degli appetiti famelici di tutti coloro che l’hanno spolpata anziché aiutarla a crescere. 

Marco Lucchetta, pensate voi, nacque come giornalista sportivo e personaggio del varietà nel singolare universo triestino. Poi la vita scelse per lui. Questa personalità brillante, ricca di verve e di inventiva, si trovò immerso nel clima barbaro di inizio anni Novanta, con una guerra devastante a pochi chilometri da casa e l’esigenza morale di esserne testimone. Fu, pertanto, una vocazione, la sua, una scelta dettata dalla passione civile e dal senso del dovere. Voleva far conoscere, in particolare, i drammi dei bambini, le vittime indifese di un conflitto che avrebbe dilaniato i Balcani e reso instabili gli equilibri europei. Non si mosse, tuttavia, con il passo pesante dell’analista geo-politico, cosa che peraltro non era, ma con quello leggero dell’inviato, che voleva porre sguardo e telecamera di fronte all’abisso.

Venne ucciso a Mostar il 28 gennaio del ’94. A dilaniarlo fu una granata proveniente dalla parte croata della città, mentre stava narrando la tragedia di un quartiere musulmano assediato dai bombardamenti e le storie dei “bambini senza nome”, nati dagli stupri o figli di genitori dispersi. Insieme a lui, morirono anche l’operatore Alessandro Ota e il tecnico di ripresa Dario D’Angelo, di cui è bene ricordare nome, ruolo e sacrificio, al fine di testimoniare quanto il servizio pubblico, e il giornalismo in generale, non sia mai un’impresa individuale ma un lavoro di squadra. Ed è bene ricordare anche che a salvarsi fu, invece, Zlatko, un bambino cui i loro corpi avevano fatto da scudo al momento dell’esplosione.

Oggi un premio porta il suo nome, ed è meritorio soprattutto perché volto a premiare chi illumina i luoghi che il potere e i signori della guerra e delle armi, contro cui sembra essere rimasto solo papa Francesco a scagliarsi, vorrebbero condannare all’oblio e, di conseguenza, alla distruzione e al saccheggio.

L’assedio all’informazione libera e indipendente, purtroppo, continua, sia pur in altre forme, più prepotente e feroce che mai.


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