Se n’è andato troppo presto Vincenzo Cerami: dieci anni fa, ad appena settantadue anni. È stato ricordato oggi al Senato con un’iniziativa svoltasi alla presenza del suo mondo e dei figli Aisha e Matteo.
Aveva conosciuto Pasolini da adolescente, quando PPP era stato il suo professore di lettere a Ciampino. In seguito, ha collaborato con lui e altri registi di altissimo livello, tra i quali Bertolucci, Amelio, Albanese e, soprattutto, Roberto Benigni, per cui sceneggiò un capolavoro come “La vita è bella”.
Del suo maestro possedeva l’inquietudine. Cerami, infatti, era un intellettuale pasoliniano in tutto e per tutto: nella profondità della scrittura, nella limpidezza del pensiero, nella passione politica e civile, nell’entusiasmo verso tutto ciò che si muoveva all’interno della società e nell’irriverenza con la quale si poneva anche nei confronti delle questioni più spinose.
Basti pensare a “Un borghese piccolo piccolo”, romanzo di Cerami portato al successo da Monicelli e da un memorabile Alberto Sordi, nei panni del protagonista Giovanni Vivaldi: una riflessione sempre attuale sulla nostra pochezza, sulla nostra sete di vendetta più che di giustizia, sulla scomparsa del collettivo in nome di un individualismo sfrenato dai contorni, a tratti, addirittura criminali, il film che, a detta di alcuni osservatori, segnò la fine della commedia all’italiana, ormai incapace di rappresentare le caratteristiche di una società italiana imbarbarita e feroce.
Poliedrico e ricco di intuizioni, si trattava di un vulcano in perenne eruzione: scrittore, poeta, drammaturgo, sceneggiatore, giornalista e saggista; in pratica, non si è mai risparmiato.
Ha raccontato la rinascita e l’evoluzione dell’Italia nei decenni della sua esplosione culturale, quando ancora potevamo essere considerati una democrazia compiuta, per quanto imperfetta e ricca di contraddizioni e punti oscuri.
Come detto, non si è mai fermato, non si è mai arreso, ha portato avanti le proprie idee fino alla fine e fornito una testimonianza nobilissima di come saremmo potuti essere e, purtroppo, spesso non siamo stati.
Ci ha detto addio alla stessa età di un altro genio della cultura italiana: Enzo Siciliano, a sua volta alfiere della sinistra che fu, simbolo di un modo di intendere lo stare insieme che oggi sembra non trovare più spazio nella nostra comunità ridotta a brandelli.
Ci ha lasciato in balia dei nostri demoni, privandoci non solo della sua grandezza ma, piu che mai, della sua levità, di quel suo modo intenso e scanzonato di intendere la vita, fino a considerarla un ballo corale in cui a ciascuno spetta il compito di trovare il proprio orizzonte di senso. Pasoliniano più che mai, soprattutto in questo. Lo ricordiamo con affetto, nel nostro tempo senza cultura, senza poesia e, quel che è peggio, senza leggerezza, primo sintomo di una drammatica assenza di serietà.
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