Mi è stato chiesto un commento sull’avanzamento di carriera del generale Vannacci, promosso a capo di Stato maggiore delle forze operative di terra. Sono andato, pertanto, a leggere l’intervista che gli ha realizzato Simonetta Sciandivasci per “La Stampa” e ho ritrovato tutte le parole d’ordine dell’attuale fase storica: meritocrazia, competizione, punizione, carcere, eccellenza, uomini che devono essere forti e non “mollaccioni” o “smidollati”. In altri tempi, tempi che sicuramente lo stesso Vannacci depreca, si sarebbe detto: credere, obbedire, combattere. Oggi, invece, possiamo limitarci a dare un’occhiata ai dati del rapporto annuale del Censis per renderci conto dello stato dell’arte. O, in alternativa, possiamo fare i conti con gli oltre cento femminicidi che anche quest’anno hanno avvelenato il Paese. Se non bastasse, possiamo prendere in esame le povertà vecchie e nuove che affliggono un’Italia dalla quale i giovani scappano non trovando sbocchi e in cui è diminuita persino l’età media a causa delle condizioni tragiche in cui versa la sanità. Poi arriva quest’uomo di mezza età, mai sfiorato dall’ombra di un dubbio, autore di un saggio scritto in una prosa che non ricorda propriamente García Márquez ma comunque in grado di vendere centinaia di migliaia di copie, spesso presente in televisione, dispensatore di idee su ogni argomento dello scibile umano, arriva questo personaggio, salito l’estate scorsa all’attenzione delle cronache e mai passato d’attualità, e ci indica la retta via. Una strada che, per certi versi, coincide con quella tracciata dal governo e per altri è ancora più netta, come se non ci fosse già abbastanza destra in Italia e nel mondo.
Ho letto l’intervista che ha rilasciato, dicevo, e mi sono domandato cosa ci fosse da aggiungere. Non per cattiveria, ma cos’altro dovrei dire su un soggetto del genere? Qualche idea, se devo essere sincero, mi sarebbe venuta ma preferisco tenermela per me.
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