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Spagna. Autunno caldo, inverno bollente

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È stato un autunno caldo per Pedro Sánchez, e l’inverno non si annuncia migliore. Tra ottobre e novembre è partita la grande mobilitazione delle destre politiche, mediatiche e giudiziarie contro il governo e l’amnistia. Sono stati firmati appelli. Comunità autonome, assemblee e giunte comunali governate dal Pp hanno condannato tutto il condannabile, così la Conferenza episcopale spagnola e, naturalmente, il sistema mediatico madrileno, principale motore del recrudescente intossicarsi del dibattito politico.

Ma l’autunno si è concluso col varo del governo di minoranza Psoe – Sumar, nato grazie a una maggioranza parlamentare molto composita, con partiti spesso in competizione fra di loro. La sinistra a sinistra del Psoe, inoltre, si è divisa, con Podemos che è uscita dal gruppo di Sumar per passare al gruppo misto. Le opposizioni sono irriducibili e l’amnistia, fulcro dell’accordo parlamentare che sostiene il governo, è tema sul quale una buona parte degli spagnoli, in maniera trasversale, dubita, e una parte si oppone frontalmente, destre in testa. Proviamo a vedere alcune delle situazioni più critiche che si stagliano sul cammino del governo.

Sánchez ha messo in campo un “governo del presidente”, spessore politico, fedeltà assoluta, niente tecnici o “società civile”. Praticamente tutti i ministri e gli altri incarichi di governo stanno rinunciando al seggio parlamentare per farsi sostituire dai primi dei non eletti. I numeri, 179 voti contro 171, non consentono distrazioni né obblighi istituzionali che rischino di far mancare voti preziosi in aula. Unici a mantenere scranno parlamentare e incarico sono i tre ministri di punta del nuovo governo, María Jesús Montero (vicepresidente, ministra delle Finanze e Funzione pubblica e vicesegretaria del Psoe), Félix Bolaños (ministro di Presidenza, Giustizia e Rapporti col parlamento e Óscar Puente (Trasporti).

Altro problema, ma fossero tutti così, è la nomina di Nadia Calviño, vicepresidente e ministra dell’Economia, alla guida della Banca europea degli investimenti (Bei). La Spagna posiziona una figura in un ruolo centrale ma il governo perde uno dei suoi asset principali, per la cui sostituzione Sánchez prende tempo, anche se il ministero della Trasformazione digitale a José Luis Escrivà, economista e ex ministro degli Affari sociali, è stato da molti visto come preparazione alla sostituzione di Calviño.

Anche sul fronte internazionale Sánchez si prende i suoi rischi. Gioca a tutto campo il ruolo datogli dal turno di presidenza spagnola dell’Ue e fa da testa d’ariete dei paesi che dubitano della legittimità della ritorsione israeliana su Gaza, giungendo alla crisi diplomatica con Israele. Ci sono in ballo per le capitali europee le relazioni coi paesi del mediterraneo, le pubbliche opinioni interne, gli interessi strategici dell’Unione. Al centro Sánchez pone il riconoscimento dello stato di Palestina da parte dell’Ue e, se non dovesse accadere, l’annuncio è che la Spagna possa procedere da sola.

Il tema più scottante, l’amnistia, è anche quello che dovrebbe procedere con relativa sicurezza. Malgrado le sciagure evocate dalle opposizioni si tratta di una legge che verrà sottoposta al vaglio Il Psoe è convinto di aver un prodotto un testo a prova di Tribunale costituzionale. Lo vedremo, si tratta comunque di un procedimento legittimo, nel pieno controllo democratico. Scatenerà le opposizioni ma la maggioranza dell’investitura non dovrebbe scomporsi, salvo l’annunciata contrarietà di Coalición canaria, con un deputato.

La guerra delle destre ha come obiettivo il dopo, le europee, la caduta del governo. Il terreno più insidioso, paradossalmente ma non tanto, è in Catalogna. La competizione tra i due partiti indipendentisti, Esquerra republicana e Junts, rischia di creare corto circuiti. La criticità maggiore è nel campo della “narrazione”, nel difficile lavoro di ridurre la propaganda, per oltre un decennio unico prodotto della politica catalana, alla realtà della trattativa politica — alla realtà tout court. Secondo logica, finché l’amnistia non sarà approvata, Erc e Junts non faranno cadere il governo. Ma con l’indipendentismo catalano la logica non è certezza.

Quello dell’amnistia sarà un percorso lungo che, inoltre, resterà lungamente in sospeso. Il Congresso approverà la legge a ridosso della pausa natalizia, al Senato il Pp la rallenterà il più possibile. Una volta firmata del capo dello stato e pubblicata sul Boe (la Gazzetta ufficiale spagnola), tra tre o sei mesi a seconda di quanto il Pp riuscirà a rallentare il percorso, subirà subito un ricorso al Tribunale costituzionale e/o alla Corte di giustizia europea — comunità autonome del Pp, Tribunale supremo, associazioni varie, qualsiasi giudice impegnato su un procedimento coinvolto dal provvedimento, faranno a gara per arrivare primi — e si arriverà probabilmente a metà 2025. La sfida politica sarà reggere al logoramento.

Un quadro pesante per Sánchez che non difetta di coraggio e, come sempre, è galvanizzato dalle battaglie. Questa volta però i fronti sono tanti e ci sarà bisogno di tutta la sua abilità. Sono in discussione assetti di potere determinanti e la battaglia non risparmia nessuno, neanche la Casa reale. Nel mirino la regina, l’ex giornalista televisiva Letizia Ortiz, oggetto di presunte rivelazioni di un suo ex, poi fidanzato della sorella, che insinua di aver continuato la relazione quando Letizia era già sposata con Felipe VI, e lui era compagno della sorella.

Una storia torbida, rilanciata dalla stampa europea e silenziata in Spagna, perché giudicata inattendibile da una stampa sempre morbida con la Casa reale. Il caso merita invece di essere sviscerato, non per la sua attendibilità ma per capire se si tratti di un tentativo di pressione, un ricatto, nei confronti del re, anche a destra oggetto di dure critiche. A furia di dire che il governo di Sánchez è “illegittimo”, una parte della destra inizia a incolpare Felipe VI di non averlo impedito. In piazza si son già viste bandiere spagnole senza lo scudo reale, col re accomunato al presidente del governo nei cartelli che segnalano i “traditori della patria”.

Un clima incendiario, che arriva anche in Europa, con Manfred Weber che porta nel Ppe e nell’Europarlamento le tesi del Partido popular, anche in questo segnalando un salto di qualità dello scontro. La Spagna è un pezzo chiave del meccanismo per rompere l’alleanza col Pse e aprire alle destre illiberali europee, il risultato elettorale lo ha ostacolato — con grande dispiacere di Weber e Meloni — l’opposizione all’amnistia permette di iniziare a manovrare le truppe in vista del voto europeo del prossimo anno.

A chiudere provvisoriamente la lista degli ostacoli sul cammino del governo sta un nodo a sinistra, potenzialmente pericoloso. La decisione di Podemos di uscire dal gruppo di Sumar segna un punto di non ritorno. I rapporti tra Pablo Iglesias e Yolanda Díaz sono ormai inesistenti. Non è mai stata semplice. Quando Iglesias — da vero maschio alfa di Podemos — investì a dito Díaz alla sua successione lei non era convinta. Non voleva essere cristallizzata dall’apparato di Podemos. Da allora la battaglia per l’autonomia non è mai cessata e la presentazione di Sumar ne ha costituito il vertice, con Podemos che non partecipò all’evento.

La deriva verticistica che ha messo negli anni il nucleo duro madrileno di Iglesias in rotta con molte realtà locali della formazione — tra commissariamenti, espulsioni, abbandoni e scissioni — è costata un’emorragia elettorale. Ora trova nell’abbandono del gruppo il suo sbocco. Podemos si chiude in un isolamento identitario condito di vittimismo.

Se sarà difficile che metta in pericolo il governo, impossibile giustificare un voto con Pp e Vox, certamente Sánchez dovrà mettere in scena tavoli di trattativa che soddisfino la necessità dei viola di comunicare la propria importanza. Sánchez si trova quindi a dialogare con tre settori a loro volta divisi. Quello basco, con la competizione tra il Pnv e Bildu, quello catalano, con quella tra i partiti indipendentisti, e ora anche quello alla sua sinistra, con la competizione tra Sumar e Podemos. L’ombra più pesante è sulle prospettive elettorali. Iglesias accarezza l’idea di una corsa solitaria alle europee che potrà indebolire il risultato complessivo delle compagini a sinistra del Psoe, come già avvenuto nelle ultime amministrative, dove molte città e regioni sono state perdute per il cattivo risultato delle liste di Podemos.

Non il cambio climatico ma il cambio d’epoca fanno facilmente prevedere per Pedro Sánchez e la Spagna un inverno bollente. Picchi di alte temperature che riguardano anche gli assetti futuri dell’Europa politica.

 

 


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