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Nessun risarcimento per i familiari delle 140 vittime della Moby Prince. “Amareggiati e delusi” per sentenza della Corte d’Appello di Firenze

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La Corte d’Appello di Firenze ha respinto la richiesta di risarcimento presentata dai familiari delle 140 vittime della strage della Moby Prince e li condanna a pagare 15mile auro ai ministeri della Difesa e dei Trasporti. “Siamo profondamente amareggiati da questa sentenza che non tiene conto delle novità a cui sono arrivate le commissioni parlamentari di inchiesta e di cui ci rimane difficile comprendere la fondatezza, anche su un piano giuridico” dicono Luchino Chessa e Nicola Rosetti presidenti dell’Associazione 10 Aprile-Familiari Vittime Moby Prince e Associazione 140.

Questa sentenza arriva dopo l’appello contro la sentenza di primo grado del Tribunale di Firenze 2403/2020 (pubblicata il 4 Novembre 2020) presentato dagli avvocati dei familiari delle vittime.

A distanza di 32 anni dalla tragedia avvenuta al largo del porto di Livorno il 10 Arile 1991 la magistratura ritiene dunque prescritto il diritto dei familiari a richiedere il risarcimento per i danni subiti in conseguenza della morte dei loro cari; richiesta che, secondo i giudici della Quarta sezione civile della Corte di appello di Firenze doveva essere fatta dopo la sentenza penale del Tribunale di Livorno del 1998. Ma nel gennaio del 2018 è stata resa pubblica la relazione conclusiva della commissione parlamentare di inchiesta del Senato che ha dimostrato quanto fossero lacunose le sentenze penali. Se è vero che durante il processo a Livorno sono stati affrontati gli argomenti cardine di tutta questa vicenda (dalla posizione della petroliera Eni, Agip Abruzzo contro cui il traghetto è andato a collidere, all’organizzazione dei soccorsi e ai tempi di sopravvivenza a bordo di passeggeri ed equipaggio), è altrettanto vero che proprio quelle sentenze non hanno accertato le responsabilità dei due ministeri per non avere garantito la sicurezza della navigazione e non aver assicurato ai 141 a bordo del traghetto Navarma (oggi Moby) un tempestivo soccorso che avrebbe sicuramente evitato la morte di molti di loro (come accertato dalla commissione del Senato nella relazione resa pubblica nel 2018). La richiesta di risarcimento contestava alla Capitaneria di Porto di Livorno, e per essa ai ministeri di cui fa parte, di non aver garantito standard minimi di sicurezza all’interno del porto e non aver assicurato soccorsi tempestivi. Garante della sicurezza nel porto della città toscana quella tragica sera era la Capitaneria di porto di Livorno guidata dall’ammiraglio Sergio Albanese (deceduto nel maggio del 2023).

Le conclusioni della commissione parlamentare di inchiesta al Senato di gennaio del 2018, confermate e approfondite da quella alla Camera tra il 2021 e il 2022, hanno sovvertito le lacunose sentenze del Tribunale di Livorno – proseguono Chessa e Rosetti -; solo allora abbiamo avuto certezza su fatti fino a quel momento negati in sede penale, quali i tempi di sopravvivenza dei nostri cari a bordo della Moby Prince, i soccorsi attivati solo nei confronti della petroliera di Eni, Agip Abruzzo, e la assenza di nebbia” (si veda articolo pubblicato il 17 ottobre 2023 su questo sito). Sulla base delle sentenze penali non era in alcun modo possibile attivare una richiesta di risarcimento che sarebbe stata valutata come una lite temeraria. Sono le novità della parlamentare la base della richiesta di risarcimento; e, conseguentemente, la data da cui far partire i tempi della prescrizione è quella del gennaio 2018. La richiesta risarcitoria è stata avviata sulla base di un principio affermato con sentenza sulla strage di Ustica che riguarda il momento in cui il diritto dei danneggiati può essere fatto valere.

Come detto, siamo amareggiati da questa sentenza – proseguono i rappresentati dei familiari delle vittime – ma ci risulta anche incomprensibile che la nuova commissione, chiamata a completare il lavoro fatto dalle due precedenti, non sia ancora operativa. Purtroppo la commissione della Camera a luglio 2022 ha dovuto chiudere i lavori a causa dello scioglimento anticipato del Parlamento. In questi mesi abbiamo scritto lettere ai presidenti delle Camere, La Russa e Fontana, e ai presidenti dei gruppi parlamentari per sollecitare la approvazione della nuova commissione. Il 17 Ottobre scorso, dopo un anno dall’inizio della legislatura (e per noi è stato un anno in più di dolore e sofferenze), la Camera dei deputati ha approvato all’unanimità l’istituzione della nuova commissione; ma a distanza di due mesi non ne sono stati neanche nominati i componenti. Durante le dichiarazioni di voto sono state dette parole importanti dell’Aula della Camera; ad oggi quelle parole sono rimaste tali. Noi e i nostri cari – scandiscono Rosetti e Chessa – siamo profondamente segnati da tutto quello che ci è successo e che abbiamo dovuto subire dopo il 10 Arile 1991: processi farsa finiti in sentenze lacunose e superficiali; richieste di archiviazione altrettanto lacunose e superficiali nelle quali siamo stati invitati a non interpellare più l’autorità giudiziaria per non far spendere risorse pubbliche e tempo alla magistratura. Infine, la sentenza di questi giorni che non ci riconosce il risarcimento. Se non fosse stato per il lavoro delle due commissioni parlamentari inchiesta guidate dal senatore Silvio Lai e dall’onorevole Andrea Romano sarebbe calato un silenzio pesante come un macigno sul più grande disastro della marineria italiana (che è anche la più grande strage sul lavoro). Quelle commissioni di inchiesta sono state una dimostrazione della vicinanza delle istituzioni e di buona politica come poche se ne vedono; le due relazioni sono state votate all’unanimità da tutti i gruppi parlamentari a conferma di un lavoro serio e approfondito. Non ci sono state, fin qui, speculazioni politiche che sarebbero fra l’altro speculazioni sul nostro dolore e, ancora prima, sulla vita dei nostri cari. Manca davvero poco per avere la verità. Basta riprendere il filo lasciato in sospeso dall’ultima commissione di inchiesta e avere il coraggio di andare fino in fondo”.

Nonostante l’amarezza per la sentenza e i ritardi della commissione di inchiesta a cui è chiesto di compiere l’ultimo miglio per arrivare alla verità Nicola Rosetti e Luchino Chessa rinnovano la loro determinazione nel chiedere alla politica di andare fino in fondo e arrivare alla verità sulle cause della morte dei loro 140 cari. “Il presidente Mattarella – proseguono i due presidenti delle associazioni –, nel messaggio per il 30° anniversario della strage ha scritto: ‘Sulle responsabilità dell’incidente e sulle circostanze che l’hanno determinato è inderogabile ogni impegno diretto a far intera luce’. Per quanto ci riguarda, nonostante gli evidenti cortocircuiti giudiziari, continueremo il nostro impegno civico. A nessuno deve succedere quello che sta succedendo a noi nel momento in cui ci viene negato anche il risarcimento per la perdita dei nostri cari. Come ci ha scritto il presidente della Repubblica nel messaggio del 2021: ‘L’impegno civico che negli anni ha distinto le associazioni dei familiari rappresenta un valore civico e concorre a perseguire un bene comune’. Ci auguriamo di non essere lasciati soli proprio adesso” concludono Luchino Chessa e Nicola Rosetti.


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