Un aneddoto vuole che dopo la ‘prima’ de L’ispettore generale, tenutasi il 19 aprile 1836 presso il Teatro Alessandrino di Pietroburgo, lo zar allora in carica, Nicolaj Pavlovič (Nicola I), con la divertita ironia e la benevola condiscendenza che gli permetteva la sua suprema autorità, abbia commentato: “Questo Nicolaj Gogol’ ce n’ha davvero per tutti, a cominciare dal sottoscritto!”. Anche perché a capo di quel sistema tanto incisivamente censurato era posto lui stesso.
La commedia riscosse fin da subito un successo enorme, secondo solo al clamore e alla veemenza delle proteste che immediatamente suscitò tra le file della classe dirigente russa dell’epoca: e se quello era legittimato dai vertici di comicità toccati – a dispetto del cupo pessimismo che pervade la pièce, immortale capolavoro della letteratura di tutti i tempi -, questi erano scatenati dall’affresco potente e impietoso di una società profondamente corrotta, nella quale soprusi, imbrogli, malversazioni erano all’ordine del giorno. In troppi si riconobbero in quella puntuale requisitoria; non deve sorprendere perciò che guardassero alla sua rappresentazione come a una minaccia all’ordine costituito.
L’autore denigrava cinicamente la Santa Madre Russia? Faceva molto di più: l’episodio che vi è narrato con tanto magistero artistico poteva verificarsi, beninteso con piccole variazioni, in qualsiasi angolo di mondo e in qualsiasi epoca. Non c’è ancora oggi pubblico che non possa riscontrarvi facilmente tratti comuni alla sua esperienza.
Lo spunto per la trama venne a Gogol’ da un fatto realmente accaduto nella sperduta provincia russa, segnalatogli con sicuro istinto da Aleksandr Puškin in persona. La notizia improvvisa ch’è in arrivo dalla capitale un funzionario in incognito con l’incarico di ispezionare un villaggio che sorge nel mezzo di una natura rigida e inospitale getta nel panico i suoi amministratori, esemplare accolta di mascalzoni. Ciascuno di loro ha le proprie malefatte, più o meno gravi, da nascondere: distrazioni di fondi, angherie ai viaggiatori di passaggio, creste, estorsioni, illeciti amministrativi: il podestà accetta di buon grado, quasi per prassi, ‘omaggi’ in cambio di smaccati favoritismi; i pacchi restano in giacenza per mesi all’ufficio postale, dove l’ufficiale addetto legge, dissuggellando e risuggellando le buste, la corrispondenza privata, ghiotta fonte di sordidi pettegolezzi, dicerie oscene, voci incontrollate; ma anche il giudice, il soprintendente alle opere pie, funzionari e possidenti hanno i loro piccoli e grandi segreti compromettenti. Gli ospedali e le prigioni versano in stato di vergognoso degrado; a infermi e carcerati non viene dato da mangiare a sufficienza. Per anni sono stati trascurati in paese i necessari lavori di manutenzione; ovunque regnano incuria e sporcizia. L’ignavia degli impiegati e la farragine della burocrazia rappresentano un flagello atavico, virtualmente insanabile.
Se non che un giovane scapestrato, vanesio e millantatore, tale Chlestakov, che soggiorna da un paio di settimane, senza preoccuparsi di saldare il conto, presso una locanda del luogo, viene scambiato per un curioso equivoco per l’ispettore in incognito. Il suo servo Osip, più lesto nell’afferrare la natura del malinteso e a volgerlo a proprio vantaggio, gli tiene validamente bordone. I poveri notabili, patetici nel tentativo di nascondere le loro malefatte, si domandano con angoscia crescente se a quel punto non convenga simulare al cospetto dello sconosciuto la più specchiata e improbabile rettitudine o cercare piuttosto di ammansirlo con qualche regaluccio, che vorrebbe essere elargito con l’elegante discrezione degli uomini di mondo,
Il reiterato tentativo di corruzione denuncerà invece tutta la goffaggine e il rozzo provincialismo che li caratterizzano. Tutti pendono stoltamente dalle labbra dell’ineffabile imbroglione che approfitta senza scrupoli dell’equivoco; vedono un senso recondito, temibile, in ogni osservazione che egli faccia. Il più insignificante rilievo del truffatore procura profondo turbamento negli animi dei maggiorenti, che per salvarsi dal castigo non esitano, con sublime ipocrisia ed effetti di irresistibile comicità, a invocare financo l’intervento della Divina Provvidenza.
Quando però capiscono che lo sconosciuto accetta di buon grado i loro quattrini – perfino più di quanti ne richieda! -, che spilla soldi a tutti senz’ombra di vergogna, tirano un sospiro di sollievo, nell’illusione che la cosa stia prendendo la piega giusta…
La vicenda è resa con una leggerezza di tono che contrasta efficacemente con il retrogusto amarissimo. L’analisi spietata dei caratteri delinea l’affresco di una società malata, che affonda nell’accidia e nella corruttela senza che si possa intravedere la minima prospettiva di un cambiamento. Il villaggio nel quale si svolge la vicenda è un microcosmo che riflette l’eterna, irredimibile volgarità degli uomini – e anche delle donne, come per es. l’insulsa, petulante, vanitosa moglie del podestà, la “civetta di provincia” Anna Andreevna.
E tuttavia, se anche aspetti caricaturali non mancano, i personaggi sono tratteggiati con ammirevole realismo; non sono pedissequi stereotipi o meri fantocci al servizio di un’idea, caratteri rigidamente delineati come in tante opere minori.
Conforta quest’ultima impressione, in evidente contrasto con lo spirito che ha informato il presente allestimento a cura del regista Leo Muscato, un passaggio della acuta prefazione di Renato Vecchione a una vecchia edizione Einaudi de L’ispettore generale: “C’è un punto che dev’esser messo in luce perché si possa comprendere la complessa natura dei personaggi della commedia, ed è che i personaggi, per quanto siano tutti più o meno dei bricconi, non ispirano una profonda e immediata antipatia. Tutta questa gente ignorante e corrotta che vive di menzogne, di convenzioni, di meschine angherie, non suscita nel lettore e nello spettatore quel senso di sdegno che invece dovrebbe teoricamente essere il fine primo della commedia. La grossolana astuzia del podestà, il vaniloquio pomposo del giudice, la furberia subdola di Osip, la vanità sciocca di Anna Andreevna, la scrocconeria e l’insensato mendacio di Chlestakov non riescono a essere odiosi, e ciò è perché in fondo a ognuno di questi personaggi si scorge qualche cosa di buono, cancellato dal tempo ma pur sempre umano e vivo.”
Nella rappresentazione che ha avuto luogo con notevole consenso di pubblico al Teatro Maggiore di Verbania nella sera del 19 novembre (durata: 1h 40’ senza intervallo) davanti a una sala finalmente gremita (ottimo segnale) è stato invece accentuato, presumibilmente per scelta, deliberata e ovviamente legittima, della regia, il lato più caricaturale della commedia. Lo stesso protagonista Rocco Papaleo, che impersona il podestà, ammette di aver interpretato un personaggio negativo in tutto e per tutto, nel quale nulla c’è da salvare, e che, in quanto tale, nella sua piatta prevedibilità, può giustificare la recitazione certamente stentorea e brillante, ma forse anche un po’ monocorde e poco sfaccettata di un attore consumato che, diversamente diretto, avrebbe saputo certo conferire al personaggio sfumature più complesse.
Alcune battute, salvo nostro errore, sono state aggiunte o ‘aggiornate’ rispetto al testo originale, strappando alla platea, che ha visibilmente apprezzato, qualche risata supplementare. Rimane l’impressione che certe modernizzazioni risultino un po’ didascaliche e corrive, e siano state introdotte a detrimento del valore e del significato universali di un’opera già abbastanza potente in sé per necessitare di sottolineature.
Bravo Daniele Marmi, l’altro protagonista, interprete di Chlestakov, che offre un’interpretazione sobria, pur con sprazzi di virtuosismo. Tredici in tutto gli attori che si avvicendano freneticamente sulla scena, numero che attesta il forte e convinto impegno della produzione, e superba la scenografia, imperniata su un meccanismo rotante che consente di passare in pochi secondi da un ambiente all’altro con giochi di luce ed effetti di grande suggestione (perfino la neve nelle scene all’aperto, a suggerire il clima rigido e l’ambiente ingrato che contribuisce alla durezza degli animi).
In chiusura di sipario, dopo il sinistro annuncio dell’arrivo del vero ispettore generale e le acclamazioni finali di rito, l’intera compagnia è scesa simpaticamente fra il pubblico facendo di corsa il giro completo della sala fra gli applausi scroscianti degli spettatori.
L’ispettore generale di Nikolaj Gogol’
Teatro Maggiore di Verbania 19 novembre 2023
con Rocco Papaleo
e con (in o.a.) Elena Aimone, Giulio Baraldi, Letizia Bravi, Marco Brinzi, Michele Cipriani, Salvatore Cutrì, Marta Dalla Via, Gennaro Di Biase, Marco Gobetti, Daniele Marmi, Michele Schiano Di Cola, Marco Vergani
adattamento e regia Leo Muscato
musiche originali Andrea Chenna
scene Andrea Belli
costumi Margherita Baldoni
luci Alessandro Verazzi
produzione Teatro Stabile di Bolzano, Teatro Stabile di Torino – Teatro Nazionale e TSV – Teatro Nazionale
L’incuria del potere. “L’ispettore generale” con Rocco Papaleo al Maggiore di Verbania