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La sottile linea tra critica e diffamazione

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I dati più recenti dicono che la maggior parte delle persone passa circa sei ore al giorno online. Basta prendere la metropolitana la mattina in una grande città per accorgersi che i passeggeri hanno lo sguardo posato su uno schermo. Con grande probabilità leggono le notizie online, con altrettanta probabilità commenteranno qualcosa sulle piattaforme social perché la rete- croce e delizia dei nostri tempi- ci ha dato la possibilità di dire la nostra, sempre, comunque e ovunque.

Bisogna stare molto attenti all’uso che si fa di questa opportunità.

Capita troppo spesso di leggere parole offensive e cariche di violenza, giudizi intolleranti, commenti che superano i limiti fino ad arrivare ad essere minacciosi.

Abbiamo letto in queste settimane che la famiglia di Giulia Cecchettin ha ricevuto minacce, così come Paola Concia è stata offesa negli ultimi giorni.

E ancora, si parla con frequenza di “hate speech”, i cosiddetti discorsi d’odio che si autoalimentano sulle piattaforme social. E’ un fenomeno in crescita ed esiste un piano elaborato di recente dalle Nazioni Unite per cominciare a contrastarlo, ma la strada sembra essere ancora lunga.

Potrebbe essere prezioso un lavoro di prevenzione basato sulla conoscenza, sulla consapevolezza.

Non tutti quelli che lasciano le proprie parole sulla bacheca di un social network infatti conoscono la differenza fondamentale tra la critica e la diffamazione, quel punto di non ritorno oltre il quale quello che si crede essere l’esercizio di un legittimo diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero, anche dando un giudizio contrario, si trasforma in un reato.

Si parla di diritto di critica a volte con leggerezza, ma è importante sapere quali sono i confini entro cui muoversi.

Questo diritto, come quello di cronaca, è disciplinato dall’art. 21 della Costituzione secondo cui “tutti hanno il diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione”. La libertà di dire ciò che pensiamo, di esprimere un’opinione anche scomoda, incontra tre limiti che sono: la verità del fatto che si commenta, che deve essere collettivamente riconosciuto; l’interesse pubblico alla conoscenza di tutte le opinioni sul fatto stesso, anche se contrarie; e la continenza espressiva, cioè una forma espositiva chiara, che può essere volta a provocare un dibattito, sia pure acceso, ma che non deve mai sfociare in attacchi alla persona o contenere parole ingiuriose.

Se non si tengono presenti questi confini si può commettere il reato di diffamazione che, secondo il codice penale, pone in essere chi comunicando con più persone, e in assenza della persona di cui parla, offende l’altrui reputazione.

Secondo le ricerche i social network sono terreno fertile per la diffusione di contenuti offensivi e ingiuriosi. La vita digitale richiede nuove regole, una conoscenza dei mezzi, dei limiti e dei confini entro cui muoversi.

Si parla di nuovi argomenti da inserire nei programmi scolastici, fin dai primi anni. Chissà che non si possa immaginare anche un’educazione digitale come antidoto alla violenza in rete in tutte le sue forme.


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