Il moto si prova andando, lascia intendere il presidente eletto Javier Milei, refrattario all’ affermazione compiuta, alla critica dei tecnici, alla prassi istituzionale. All’assunzione dei poteri mancano una decina di giorni, nondimeno lui è già saltato su un aereo e via… La sua presidenza di fatto è cominciata, sebbene non abbia ancora neppure completato il governo, pur ridotto a soli 8 ministeri. Con Pubblica Istruzione, Sanità, Lavoro e Previdenza Sociale, Trasporti, Telecomunicazioni, Energia messi assieme in qualche sottosegretariato. E’ il suo modo di mantenere la promessa di ridurre on demand lo Stato. Meno facile fare altrettanto con i politici, non importa se avversari o alleati, quella “casta” che voleva distruggere e con cui ora sta negoziando posti di governo e convivenze nelle istituzioni. Poiché il suo partito anche sommando la destra tradizionale divisa tra Mauricio Macri e Patricia Bullrich -esito niente affatto scontato-, non ha nessuna stabile maggioranza al Congresso. Ne’ sarà semplice governare a colpi di decreto, come con disinvoltura ha detto a una preoccupata assemblea confindustriale Diana Mondino, 65, appena nominata ministra degli Esteri.
Ci sono mistica e dollari (in ordine logico e cronologico), nell’agenda della prima missione-lampo di Javier Milei: a New York per un raccoglimento votivo sulla tomba del rabbino ultra-ortodosso Menachem Mendel, a Queens, dove si era recato in cerca di buon auspicio anche al momento di candidarsi alla presidenza argentina; e a Washington per tentare di strappare altri crediti (US$ 12 miliardi?), rimodulare quelli in prossima scadenza (dicembre ’23, gennaio ’24: 6,4 miliardi di US$) e offrire contropartite ai banchieri. Pesanti tagli di bilancio, una serie di privatizzazioni e carry-trade sui mercati finanziari, si dice, senza conferme né smentite. Poi verrà il turno del Club di Parigi e degli europei tutti. Ad essi viene resa nota fin d’ora l’intenzione di ratificare il controverso trattato commerciale MercoSur-UE, sottoscritto nel 2019 dopo vent’anni di negoziati. Il governo peronista lo considerava dannoso per l’occupazione industriale e la difesa dell’ambiente, fingendo di dimenticarlo in qualche cassetto per non stracciarlo subito. Ma anche il governo di Lula, in Brasile, mantiene forti dubbi e comunque non considera la sua approvazione all’ordine del giorno.
Il viaggio resta circonfuso nella riservatezza anche dopo essersi concluso. Le sue ragioni sono affidate all’intuito e alla capacità deduttiva degli osservatori. Sia pure in via preliminare, tratta questioni finanziarie vitali per l’Argentina, ma è solo ufficioso; né poteva essere altrimenti. Tanto casuale quanto allusivo, il quartiere sul fiume Potomac in cui hanno sede il Fondo Monetario Internazionale, la Banca Mondiale, il Dipartimento di Stato e altri edifici famosi alle turbolenze della politica come il Watergate, si chiama Foggy Bottom (Fondo nebbioso). E immediatamente metafisico è l’ambito che ha racchiuso la visita strettamente personale compiuta poche ore prima da Milei alla memoria del gran rabbino Mendel Schneerson, leader del movimento chassid Jabad (acronimo delle tre parole che in ebraico significano ispirazione, comprensione e coscienza) Lubawitch, una tendenza dell’ebraismo ultra-conservatore, che attraverso una sua propria lettura della Torah persegue l’unità degli ebrei di tutto il mondo. Milei è nato cristiano e cattolico-apostolico-romano; però da alcuni anni si è avvicinato all’ebraismo più tradizionalista.
Nella fulminea incursione statunitense (48 ore in cui si è intrattenuto con Bill Clinton -Obama e Trump indisponibili-, conversando poi con Jack Sullivan e Juan Gonzalez, consiglieri di Joe Biden rispettivamente per la Sicurezza Nazionale e per l’America Latina), lo ha accompagnato un gruppo molto ristretto. L’immancabile sorella Karina, 50, fin dall’adolescenza sua unica e massima guida ed estimatrice: lui la presenta a tutti come “il Capo”. Un economista con strette amicizie a Wall Street, Luis Caputo, 56, che questa missione consacra ministro dell’Economia del nuovo esecutivo, dopo esserlo stato con Mauricio Macri che ha assistito nell’operazione dell’impagabile maxi-indebitamento con il FMI per 44 miliardi di dollari, e del quale è da sempre amico di famiglia. Il capo di gabinetto presidenziale, Nicolas Posse, 58, ingegnere industriale, come altri esponenti del nuovo governo proviene dal mondo della grande impresa privata e in particolare dalla Corporaciòn America. Eduardo Eurnekian, 91, il miliardario che l’ha fondata e la controlla, è la grande figura dell’establishment economico argentino che dopo averlo avuto come collaboratore ha patrocinato l’avvento di Javier Milei alla massima magistratura del paese.
L’indice di rischio del nuovo governo argentino viene ritenuto il più alto degli ultimi vent’anni, anche negli ambienti economici e politici che ne hanno celebrato l’indubbia vittoria elettorale. Di tale rischio Milei è del resto un effetto, sia pure a sua volta abnorne. La causa è ben più antica. Ha radici nelle distorsioni storiche di un modello economico escludente, nelle esasperazioni sociali che ne sono derivate. Soltanto in alcuni periodi ha prevalso la capacità di costruire un cammino sostenibile allo sviluppo. Nel nuovo millennio, a partire dalla crisi del 2008, la parte più avanzata dell’Occidente ha poi cominciato a costruire un inedito sistema produttivo fondato sulle nuove tecnologie. L’Argentina (e l’intera America Latina) non ha trovato né nell’impresa privata né in quella di stato iniziative e risorse per ammodernare la propria industrializzazione. Perdendo (ben vale ripeterlo) posti di lavoro, qualità professionali, valore aggiunto: minor ricchezza a fronte di un ulteriore incremento demografico.
Così a crescere realmente è stato solo l’indebitamento, pubblico e privato. In favore della quiete sociale o di benefici di parte o di questi e quella insieme. Senza alcuna rilevante differenza macroeconomica tra governi di diverso colore politico e neppure con le dittature militari, che -anzi- hanno fatto peggio di tutti gli altri anche sotto quest’aspetto. Sono i numeri a testimoniarlo, malgrado i tentativi di maquillage. Fino ad oggi, quando arriva in prima pagina (e al Fondo Monetario qualcuno finge un’aria stupita….) che al debito arcinoto dev’essere aggiunto quello dei Leliq, tutt’altro che occulto, sebbene nei suoi meccanismi semi-sconosciuto a molti politici oltre che al cittadino comune. Sono pesos per l’equivalente di altri 40 miliardi di dollari all’incirca: Lettere di Credito rilasciate non dal Tesoro, bensì dalla banca centrale e tenute chiuse in cassaforte dal circuito bancario in cambio di un non trascurabile tasso d’interesse. Per questo Milei non parla più di dollarizzazione, né della guerra alla “casta politica”; bensì della stagflacion, stagnazione+inflazione in arrivo. E ai governatori che chiedono fondi per pagare le tredicesime risponde che si arrangino, la cassa è vuota.