Con l’ex presidente della Commissione europea Jacques Delors, scomparso a Parigi all’età di novantotto anni, se ne va un galantuomo e un europrista autentico. Dopo di lui, il buio. Delors, infatti, ha rappresentato una visione autenticamente socialista, sinceramente inclusiva e convintamente progressista nel contesto di un continente che andava via via snaturandosi, fino a giungere al vuoto dei sovranismi attuali.
Apparteneva alla generazione che aveva conosciuto i diluvi del Novecento, ha attraversato a testa alta un secolo difficile, è stato al centro di decisioni importanti, ha dato alla Francia un senso e una missione, ha posto la sua saggezza al servizio dell’Unione europea e l’ha sempre considerata la nostra casa comune e una patria più grande, cui era giusto cedere sovranità in cambio di nuovi diritti e nuove prospettive. Tutto ciò che sognava e sperava, purtroppo, sembra essersi dissolto. La Francia è in mano a un soggetto che ha fatto dello scontro la propria cifra politica ed esistenziale, arrivando al punto di spaccare il Paese e di assecondare le pulsioni più retrive dell’estrema destra in fatto di immigrazione e integrazione. Quanto al Vecchio Continente, a giugno rischia di suicidarsi, con l’avanzata di formazioni populiste, razziste, nazionaliste e xenofobe il cui intento è quello di distruggere tutto ciò che abbiamo costruito a partire dal dopoguerra.
Delors sapeva che i diritti, per diffondersi, dovessero prendersi per mano e procedere di pari passo. Sapeva che l’integrazione dovesse essere politica ed economica, e affinché ciò avvenisse l’Europa doveva entrare a far parte dell’immaginario collettivo. Sapeva che l’apertura delle frontiere e la mescolanza fra i popoli fossero indispensabili per creare una cultura e un idem sentire europeo. E sapeva anche che ciascuno dovesse rinunciare a qualcosa affinché tutti traessero vantaggio dal fatto di stare insieme.
Dall’euro a Schengen, non ha mai smesso di battersi per favorire l’incontro fra culture e abbattere muri e barriere. Per questo ci mancherà: per la visione, per il coraggio, per la determinazione, per la passione civile e per l’impegno con cui ha perseguito i suoi obiettivi, fino a costruire un orizzonte fino a qualche anno prima inimmaginabile.
L’idea che tutto ciò che ha realizzato possa essere abbattuto dalla furia reazionaria che sta sconvolgendo un’Europa in crisi d’identità, la mancanza di dignità di una parte della sua attuale classe dirigente, la perdita di indipendenza e la paralisi decisionale, tutto questo mi angoscia. Mi angoscia pensare che stiamo dissipando un patrimonio straordinario, che stiamo gettando alle ortiche le garanzie che ci hanno assicurato quasi otto decenni di pace e che stiamo rinunciando ai capisaldi del nostro vivere civile, sprofondando nell’abisso di una guerra non ancora combattuta a colpi di cannone ma già ben presente nella nostra quotidianità, fatta di precariato, incertezza e pessimismo cosmico verso il futuro.
Delors se ne va nel giorno in cui l’Europa dice addio a un personaggio di cui, al contrario, non avevamo alcuna stima. Schäuble, difatti, incarnava l’esatto opposto, e se oggi l’Europa è ridotta in queste condizioni, una parte della responsabilità è senz’altro sua, della sua intransigenza, del suo rigorismo punitivo e della sua disumanità: l’opposto dei valori che avevano guidato l’azione politica del suo mentore Kohl, padre della Germania unita e, insieme a Mitterrand e allo stesso Delors, protagonista del processo di unificazione europea.
A ottant’anni dell’eccidio dei fratelli Cervi, di cui celebriamo con commozione l’anniversario, prendere atto che siamo orfani di un altro simbolo della lotta contro tutti i fascismi ci addolora non poco. Con lui, infatti, si perde una certa idea d’Europa e di mondo, un’icona della sinistra, un idealista non pentito e un interprete dei principî che stanno venendo meno a ogni latitudine. Ma se perdiamo noi stessi, non ci sarà un domani.
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