Includere, più facile dirlo che farlo

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Cosa significhi essere disabile lo sa soltanto chi lo è. Ma molto ne sanno i loro familiari e le persone che li curano e li assistono che, oggi, giornata mondiale della disabilità, vorrebbero prima di tutto far sapere una cosa: gli aiuti economici sono importantissimi per molti, ma per tutti, proprio per tutti, è fondamentale l’inclusione, ricevere dei servizi umanizzati, avere un’assistenza che metta al centro il paziente e cerchi di migliorare la sua qualità di vita.

Assistenza, cura, che ti salvi da tutte le malinconie, come cantava Franco Battiato. Un sogno per la disabilità in Italia, alla quale questo governo sottrae ancora risorse economiche e soprattutto, in verità come molti governi precedenti, non presta alcuna forma di attenzione.

È quanto emerge dalla ricerca “Disabilità e povertà nelle famiglie italiane”, condotta da Cbm Italia (organizzazione umanitaria impegnata nella prevenzione e cura della cecità e della disabilità e nell’inclusione delle persone con disabilità nel Sud del mondo e in Italia) insieme alla Fondazione Emanuela Zancan Centro Studi e Ricerca sociale, che indaga per la prima volta nel nostro Paese il legame esistente tra condizione di disabilità e impoverimento.

La legge più avanzata e l’unica applicata è la 104 del 1992, non proprio ieri. Sono circa 4 milioni in Italia i disabili (3 milioni ufficiali e circa 1 che non ha ancora ottenuto il riconoscimento per la 104) che vivono in casa con almeno un parente che li assiste e più della metà di questi, i casi più gravi, hanno ottenuto i benefici della legge in questione. Che significa un contributo di 520 euro al mese. Fondamentale per molte famiglie, ma palesemente insufficiente.

Tuttavia la ricerca mette in luce una notizia che a chi non ha a che fare con il problema sembrerà incredibile: 9 su 10 dei familiari intervistati (si chiamano in tutto il mondo caregiver) mette al primo posto la richiesta di servizi che mettano la persona disabile al centro e forniscano assistenza in modo continuativo e inclusivo.

Non dipende solo dalle leggi nazionali, molto dipende dalla sanità regionale, dalle singole ASL, perfino dai singoli operatori. L’assistenza domiciliare non è uguale in tutte le regioni, ma è insufficiente ovunque. Le famiglie sono sole, se hanno la possibilità economica pagano assistenti privati, altrimenti devono accontentarsi di quelli che fornisce il sistema sanitario pubblico. In entrambi i casi è carente la sempre citata inclusione: una medicazione, una iniezione, una flebo sono servizi relativamente facili da ottenere. Una carezza, un’ora di compagnia, una terapia occupazionale, la lettura di un libro, un aiuto per il computer, una passeggiata, tutto questo manca quasi sempre.

La cura di un disabile, fisico o mentale, è proprio tutto questo e chi lo assiste vive nel terrore che accada un imprevisto, un malessere, una crisi di qualunque tipo, non può mai programmare la sua vita, perché non ha più la sua vita. Drammatico è poi il pensiero di quello che accadrebbe se il disabile dovesse restare solo: da anni le associazioni dei caregiver familiari chiedono una legge chiamata il “dopo di noi” che garantisca assistenza, cure e strutture residenziali. Sempre e solo promesse.

Le strutture che davvero sanno gestire queste situazioni nel nostro paese sono pochissime. Le RSA sono impostate per l’assistenza agli anziani e quando funzionano sono molto importanti. Per i disabili, che possono esserlo anche appena nati, c’è molto meno. In alcune realtà, diciamo a Roma e a Milano, ci sono organizzazioni per l’assistenza ai malati terminali, che il modello delle cure domiciliari e delle residenze assistite lo gestiscono molto bene. Basta copiare. Sono equipe specializzate e multidisciplinari, dove operano anche psicoterapeuti, fisioterapisti, infermieri specializzati, volontari. Perché questo problema è sistematicamente ignorato dai ministeri e dagli enti locali? Il covid ci doveva insegnare anche questo:lo hanno detto i medici in modo molto netto che se ci fosse stata l’assistenza domiciliare anche in quella tragedia ci sarebbero stati meno morti. Ammassare tutti i malati in ospedale fu inevitabile e disastroso.

Invece nella giornata mondiale della disabilità grandi belle parole e inclusività zero. Nonostante il presidente Mattarella, che a questa questione da sempre dedica molta attenzione e ha anche aperto il Quirinale e la tenuta di Castel Porziano ai disabili. Per il resto il nulla. Rientra nel grande problema di un servizio sanitario nazionale sempre più tartassato e depotenziato e sempre più diseguale. Con i soldi anche per i disabili si risolvono molti problemi. Non quello di un sorriso, comunque.

 


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