Teatro Marcello Perracchio, Ragusa.”Compagnia Godot” di Bisegna e Bonaccorso.
“Il malato immaginario” di Molière.
Costumi di Federica Bisegna.
Scena e regia di Vittorio Bonaccorso.
Con Federica Bisegna, Vittorio Bonaccorso, Giuseppe Arezzi, Alessio Barone, Benedetta D’Amato, Alessandra Lelii, Angelo Lo Destro, Lorenzo Pluchino, Maria Flavia Pitarresi.
Dopo “Il borghese gentiluomo” e “L’avaro”, Vittorio Bonaccorso mette in scena un’altra commedia molieriana per eccellenza, “Il malato immaginario”, opera di una modernità sbalorditiva, intrisa di satira sociale e di introspezione psicologica, ancor più di valore per l’epoca (il Seicento) in quanto condotta su più livelli narrativi, capaci di accogliere anche una lettura più popolare e, dunque, fruibile da un pubblico eterogeneo. La messinscena e l’interpretazione del regista e attore ragusano sono fedeli al testo originario, capace di offrire un’analisi spietata del sorgente mondo borghese. Argante (un sempre straordinario Vittorio Bonaccorso) è un ipocondriaco all’ennesima potenza, un benestante che si può permettere di pensare soltanto al suo immaginario stare male. Una sorta di uomo contemporaneo in crisi, cui Freud avrebbe attribuito in seguito i più diversi motivi al suo essere patologico, e per questo prototipo dell’essere fragile in balia di sé stesso, contraltare alla spietatezza del suo lato affaristico e mercantile, tipico della sua classe di appartenenza. Argante si trova così circondato da farmacisti e medici-stregoni “interessati” al suo stato di salute e da tutta una accolita di parvenue pronti a depredarlo dei suoi averi, non ultima la seconda moglie Bèline. Lo spettatore riesce persino a cogliere, in tutta questa nuova babele sociale, un tocco di tenerezza infantile nel protagonista, qui accentuata dall’arguta lettura registica di Bonaccorso.
Insomma, la genialità di Molière è somma, sempre attuale al punto da diventare in seguito faro di riferimento per numerosi commediografi di ogni parte del mondo, anche a distanza di secoli. Persino il rapporto con il corpo, con la malattia, segna un discrimine molto forte nell’arte del commediografo francese. Solo la borghesia, e non certamente l’aristocrazia o la classe popolare, poteva avvertire la propria essenza materica come un peso ed un bene insieme, da “curare” e “trattare” con attenzione e persino maniacalità, potendosi concentrare su di essa perchè lontana da ogni altra incombenza. La paura della morte cominciava così a non essere soltanto legata alla violenza del potere o alla fame atavica, ma anche a vie prettamente cerebrali. Anche i rapporti familiari descritti, con grande ironia e spietatezza, da Molière sono intrisi di interessi economici e materiali, e raccontati attraverso dinamiche narrative che allora dovettero apparire davvero rivoluzionarie. Al punto che la protezione che l’artista francese godeva da parte di Re Sole forse traeva origine proprio da questo suo sguardo critico sulla “nuova” classe sociale, che alla Monarchia poteva sembrare persino conveniente in un confronto che oramai era pienamente competitivo. Non è un caso che il popolo, simboleggiato dalla protettiva e saggiamente furba serva di Argante, Tonietta, interpretata da una Federica Bisegna pienamente in parte, ne esce vincente, proprio perchè lontano da una diatriba che non lo riguardava, e nella quale si inseriva solo sentimentalmente, e che soltanto secoli dopo l’avrebbe visto protagonista della Storia.
Bravi ed applauditi anche tutti gli altri interpreti, da Lorenzo Pluchino ad Angelo La Porta, da Giuseppe Arezzi ad Alessio Barone, anche interprete delle parti cantate, da Alessandra Lelii a Benedetta D’Amato e Maria Flavia Pitarresi.