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Il futuro non sia negato: appello del Papa per il clima

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Il Messaggio di papa Francesco alla COP28 di Dubai sembra un ultimo appello prima della catastrofe, anzi un grido più che un appello. I toni diplomatici tradiscono la percezione che siamo a un punto di non ritorno: «il mondo si sta sgretolando», e non solo per la guerra a pezzi che sta spezzando l’ordine mondiale. Per questo il pontefice esordisce con una apparente contraddizione «Purtroppo non posso essere insieme a voi, come avrei desiderato, ma sono con voi perché l’ora è urgente»: «non posso essere… ma sono». E poi evoca «un grave pericolo che incombe» e ascolta «il gemere della terra». Le immagini e i suoni hanno un acre sapore apocalittico.

L’appello è durissimo, tra i più duri del suo pontificato. Attacca «l’ambizione di produrre e possedere» che si è trasformata in «ossessione» e «delirio di onnipotenza» espressione di un’«avidità senza limiti». L’appello dantesco, dunque, è a «riconoscere con umiltà e coraggio il nostro limite». Il papa tocca la radice profonda del problema dei nostri giorni, che è teologica: l’illusione prometeica di essere Dio. Il papa parla da papa. Il negazionismo ha qui la sua genesi: la narrativa ideologica che considera il creato come oggetto utilizzabile. Il papa parla innanzitutto da leader morale e religioso, non da leader politico.

E tuttavia tiene gli occhi ben aperti sulla realtà di questo mondo perché sa che sono le scelte degli uomini a dare forma al futuro sul quale Francesco ragiona alla luce della sua fede. E nota che il mondo ormai è del tutto interconnesso. E tuttavia è «scollegato»: gli stakeholders pensano ai propri interessi particolari e nazionali. In un mondo globalizzato nessuno pensa più al «bene comune globale». Sembra un paradosso, ma l’affermazione svela le dinamiche perverse della politica internazionale che ha rinunciato ad affrontare le questioni in modo multilaterale: «il riscaldamento del pianeta» si accompagna a un «generale raffreddamento del multilateralismo», scrive. L’appello a rinnovare il multilateralismo è il «basso continuo» di Laudato sìFratelli tutti e Laudate Deum, i tre documenti fondamentali di Francesco che, se letti insieme, esprimono la sua proposta architettonica per il mondo contemporaneo. Cambiamento climatico e cambiamento politico sono strettamente interconnessi, anche a causa del rapporto invertito tra economia e politica per cui è la prima che ormai governa la seconda. Il ragionamento teologico in Francesco ha, come in un gioco di specchi, una limpida riflessione politica ed economica. Potremmo prendere in prestito da Pasolini l’endiadi «trasumanar e organizzar».

Senza una visione globale sul bene comune — così tipica del cattolicesimo, tra l’altro — la politica internazionale, saldamente ancorata agli interessi economici, produce scarti: la penalizzazione dello sviluppo di tanti Paesi, già gravati di onerosi debiti economici; l’incidenza di poche nazioni, responsabili di un preoccupante debito ecologico nei confronti di tante altre. C’è una «giustizia ecologica» che chiede di individuare modalità adeguate per rimettere i debiti finanziari che pesano su diversi popoli. Esiste un «debito ecologico» da estinguere. Le proposte del papa sono molto concrete. Auspica una transizione ecologica, attraverso forme che abbiano tre caratteristiche: siano efficienti, vincolanti e facilmente monitorabili. E individua quattro campi di realizzazione: l’efficienza energetica; le fonti rinnovabili; l’eliminazione dei combustibili fossili; l’educazione a stili di vita meno dipendenti da questi ultimi.

L’esortazione apostolica Laudate Deum era stata firmata il 4 ottobre in vista dell’incontro di Dubai, ma il desiderio di essere presente fisicamente all’incontro ha un valore simbolico molto forte. Il papa avrebbe voluto incarnare con il suo corpo fragile quel grido severo ai responsabili delle nazioni. E lo avrebbe fatto in uno scenario internazionale segnato dalla crisi dell’ordine mondiale e dai conflitti in corso. E questi conflitti, tra l’altro, non fanno che aggravare la situazione della «casa comune». Certamente i numerosi incontri bilaterali — ai quali il papa avrebbe dedicato un’intera giornata a Dubai — sarebbero stati un’occasione importante per chiedere pace.

Ancora una volta, nella scena del mondo, emerge la sua figura petrina sovrapposta a quella francescana di folle moderato, ribelle paziente, idiota dostoevskiano, matto felliniano. E dunque di cristiano: convinto che la religione deve stare tra le soluzioni e non tra i problemi. E per questo avrebbe inaugurato il «Padiglione della Fede», una novità delle COP, e con il grande imam di Al Azhar avrebbe firmato di persona una Dichiarazione sulla scia della precedente sulla Fratellanza umana del 2019.

Lo sguardo del Pontefice è sbilanciato sul futuro. La sua autorità — l’unica autorità morale dal valore globale — oggi è più che mai al servizio delle generazioni future che vivranno gli effetti delle nostre scelte. La sua voce, in fin dei conti, non è quella delle diplomazie, ma quella di coloro che verranno dopo di noi sul pianeta Terra: viene dal futuro più che dal presente: «che il loro futuro non sia negato!», esclama.
(da La Stampa)


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