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Il bavaglio all’informazione accomuna tutti i governi di destra 

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L’assalto alla democrazia comincia sempre con l’eliminazione dell’informazione che non si adegua al padrone, quanti sono i giornalisti uccisi in Messico, in Russia, in Iran e recentemente nella striscia di Gaza?                                                  

La prima cosa che accade durante un colpo di stato è impadronirsi della tv per avere sotto controllo l’informazione.                     Lo fece Benito Mussolini, tutta l’informazione che non era di regime divenne clandestina; è accaduto con Silvio Berlusconi con le leggi ad personam, con l’infinito conflitto d’interesse, poi l’editto bulgaro grazie anche alla complicità di alcuni esponenti del centro-sinistra convinti di essere più furbi dell’ex Cavaliere, altrimenti non si spiegherebbe perché la legge Gasparri, la numero uno ad personam, quella che regola il sistema radiotelevisivo, approvata nel 2004, sia ancora in vigore, anzi i pochi ricami aggiunti come la modifica della governance della Rai voluta dal presidente Renzi l’hanno ulteriormente peggiorata.                                                                                                         

Il Governo Meloni, quello di destra destra, non poteva non intervenire con una legge bavaglio, già approvata alla Camera, in attesa del sì definitivo del Senato. Una legge che vieta la pubblicazione in parte o in toto dell’ordinanza di custodia cautelare, fino alla conclusione delle indagini o all’udienza preliminare. Un duro colpo alla Costituzione, al diritto e al dovere di informare il cittadino, alla democrazia. In un emendamento presentato da Enrico Costa (Azione con Calenda), riformulato dal Governo: “il divieto di pubblicare anche solo stralci delle ordinanze di custodia cautelare”, camuffata dal principio di salvaguardia della presunzione di innocenza che invece non ha nulla a che vedere con l’obiettivo di evitare la “gogna mediatica”, quella usata da Matteo Salvini e da Giorgia Meloni contro Roberto Saviano accusandolo, per l’ennesima volta, di “scrivere di mafia per arricchirsi”, a cui va, invece, il merito di aver acceso le luci sulla camorra e in particolare sui casalesi, di cui la maggior parte degli italiani non conosceva l’esistenza.                                                                                                               L’obiettivo è colpire il giornalismo d’inchiesta e il diritto di cronaca, spegnere le luci sulle malefatte di alcuni esponenti dei partiti di Governo, mettendo il bavaglio a quell’informazione che non si è allineata come ha fatto la maggior parte e in particolare i tg della Rai e il solito Bruno Vespa, sarto perfetto nel creare corredini per il potente di turno.
Articolo 21 con Barbara Scaramucci e Giuseppe Giulietti (ripreso da Marco Travaglio sul Fatto Quotidiano) ha lanciato l’appello alla “disobbedienza civile” per affermare ancora una volta il diritto alla libertà. Sulla norma anti pubblicazioni sono già intervenuti l’Ordine dei Giornalisti, la FNSI e alcuni magistrati che hanno aderito alla proposta del Procuratore capo di Potenza Francesco Curcio che definisce la norma “tecnicamente incomprensibile”, impegnandosi a “continuare a rilanciare ordinanze ai giornalisti”.                                                                                                                                              

Attenzione non dobbiamo sottovalutare che il voto della Camera continua l’assalto alla Costituzione antifascista fondata sulla divisione dei poteri, già sotto accusa dalla volontà del Governo Meloni di sostituire la democrazia parlamentare con il “premierato forte” ovvero l’elezione diretta del presidente del Governo approvata nel Consiglio dei ministri lo scorso 3 novembre.


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