Sanità, profitti d’oro. Prima di tutto con le cliniche private. Il caso classico è una operazione d’urgenza al cuore o per un tumore. Non c’è molto da discutere se il medico dice al malato appeso a un filo: «Lei si deve operare immediatamente. L’intervento si può fare subito in clinica…».
Raggiungere un professionista capace in un ospedale pubblico è un’impresa impossibile per i tempi strettissimi. Trovare un letto libero in un ospedale è altrettanto impossibile per i tempi lunghissimi. Invece per la clinica privata tutti gli intralci burocratici vengono sbrigati in un attimo: la mattina dopo c’è il ricovero nella clinica e nel pomeriggio segue l’operazione. In serata il malato e la famiglia tirano un sospiro di sollievo per lo scampato pericolo. Se la clinica privata è convenzionata con il Servizio sanitario nazionale (o con una assicurazione privata) il paziente è fortunato e non ha contraccolpi economici. Ma se manca la convenzione il paziente deve essere molto paziente: deve dire addio a gran parte dei sudati risparmi frutto di anni di sacrifici. Il portafoglio è prosciugato e la vita è salva.
La sanità in Italia da tempo si paga. Si pagano le medicine prese in farmacia con un ticket più o meno alto. Molte volte si pagano addirittura le vitamine, anche carissime, perché sono considerate un parafarmaco che non passa gratis il Servizio sanitario nazionale. Si pagano a peso d’oro le analisi del sangue, una Tac o una risonanza magnetica. Si pagano perché i tempi di attesa nella sanità pubblica sono lunghissimi e quindi le strutture private fanno affari d’oro.
Negli ultimi decenni il sistema sanitario pubblico italiano, un tempo un modello imitato da molti paesi, è in caduta verticale. Gli investimenti sono tagliati, i medici sono sempre di meno e mal pagati mentre l’invecchiamento della popolazione e le inaspettate emergenze come il Covid aumentano enormemente la domanda di salute. Certo la sanità pubblica come servizio universale e gratuito inventata nel Regno Unito dai laburisti dopo la Seconda guerra mondiale perde colpi un po’ in tutta Europa, come scrive Felice Saulino su “Sfoglia Roma”, ma in Italia lo scasso raggiunge vette altissime.
I pronto soccorso ormai sono una bolgia, sono intasati da file lunghissime. I pronto soccorso sono le delicate porte di accesso ai ricoveri negli ospedali nei quali rischiano la vita sia i pazienti e sia i medici vittime di violente aggressioni. Così proliferano perfino i Pronto soccorso privati. Chi non può o non se la sente di affrontare la bolgia guarda Internet e sceglie un pronto soccorso privato, paga e spera di non sbagliare. Non c’è solo un problema di scarsità di fondi ma anche di una organizzazione sanitaria sbagliata. Andrebbero potenziati, ad esempio, la sanità territoriale e i medici di famiglia. I casi meno gravi potrebbero essere dirottati nelle Case della salute e potenziando il contributo dei medici di base. Negli ultimi anni sono comparsi strani protagonisti come le cooperative di medici e infermieri mentre erano bloccate le assunzioni pubbliche.
Il governo Meloni ha aumentato gli investimenti nella sanità ma con il contagocce, così i sindacati e le opposizioni lanciano proteste e manifestazioni per aumentare i fondi per il Servizio sanitario pubblico.
La sanità è diventata una miniera d’oro per i gruppi privati. Contano grandi profitti le multinazionali farmaceutiche e i proprietari di cliniche private. Sarà un caso ma i profitti accumulati nella sanità molte volte vengono investiti nell’informazione all’estero e in Italia. Antonio Angelucci, ex Forza Italia, deputato della Lega, vicino a Fratelli d’Italia sta espandendo i suoi intteressi dalle cliniche private all’editoria. Ha acquistato “Il Tempo”, “Libero”, “Il Giornale”, il quotidiano proprietà per decenni della famiglia Berlusconi. Una volta i “signori” dei giornali erano gli industriali siderurgici, dell’auto, del petrolio. Ora sembra arrivato il turno degli imprenditori sanitari.