“Stiamo costruendo un servizio sanitario nazionale non più basato sui diritti dei cittadini ma sulle sue disponibilità economiche”. Parole di Nino Cartabellotta, presidente della Fondazione GIMBE, unico osservatorio indipendente sulla sanità in Italia.
Inutile stupirsi o peggio criticare se oggi ( lo faranno di nuovo il 18) medici e infermieri scioperano e sono nelle piazze italiane a rivendicare non solo e non tanto i loro diritti economici e pensionistici, ma il loro e il nostro diritto alla salute, come previsto dalla Costituzione e come concepito dalla legge del 1978 che istituiva il sistema sanitario nazionale. L’adesione è altissima, oltre l’80 per cento.
Non ci rendiamo ancora conto, nonostante i 4 anni passati dall’arrivo del covid, che stiamo andando a sbattere contro un muro. Ci stiamo andando noi cittadini che, in quanto esseri umani, prima o poi problemi di salute ne abbiamo tutti.
Il problema si è incancrenito negli ultimi 20 anni. Ricordate la spending rewiev di Tremonti? Dove credete che sia cominciata? Dalla sanità pubblica. Si è andati avanti così, governo dopo governo, compresi quelli tecnici. L’aumento di convenzioni con il privato, il progressivo indebolimento della medicina territoriale a favore dei grandi ospedali spesso privati ma convenzionati, ci hanno ridotto alla situazione di oggi, la peggiore da quel lontano 1978. Il nostro sistema è stato per molti anni all’avanguardia, invidiato e copiato da gran parte del mondo. Poi la svolta progressiva verso il peggio.
C’è un paradigma che chiarisce tutto: le Unità Sanitarie Locali, USL, diventarono Aziende Sanitarie Locali, ASL. Il bilancio diventava più importante dei malati, perché i finanziamenti diminuivano di anno in anno e cominciò la sciagurata pratica del blocco del turn over. Un paese o sceglie il welfare o non lo sceglie, e se lo sceglie non può colpire progressivamente la forma più necessaria di welfare, la sanità.
Detto questo il colpo di grazia è nella legge di bilancio del governo Meloni, che sottofinanzia di 3 miliardi la sanità rispetto alle esigenze dimostrate e, all’inizio, confermate anche dal ministro Scuillaci, che questo mondo lo conosce ma è sempre molto silenzioso. Il governo si è vantato di aver inserito in finanziaria più risorse di quanto abbiano mai fatto i predecessori. Non è vero, perché dei 3 miliardi in più, 2,4 sono già prenotati per i rinnovi contrattuali non solo dei camici bianchi ospedalieri, ma anche degli infermieri e dei medici convenzionati, come quelli di famiglia e gli ambulatoriali. Medici e infermieri incrociano le braccia anche per difendere le loro pensioni, minacciate da un taglio fino al 25% dell’assegno inferto dalla manovra con le meno favorevoli aliquote di calcolo sui contributi versati dal 1981 al 1996. Ora il governo ha fatto marcia indietro sui trattamenti di vecchiaia, che rimarranno invariati. Ma la riduzione, sia pure progressiva, varrà sulle pensioni anticipate.
Secondo la Fondazione GIMBE andiamo incontro ad una diminuzione di 312 case della salute di comunità, 120 centrali territoriali, una riduzione di 808 terapie intensive e 992 terapie sub intensive.
Il tutto dopo la tragedia del covid che non è conslusa: un virus non si cancella per decreto, il covid sta triplicando i contagi ogni settimana da ottobre e nell’ultima ha fatto quasi 900 morti. Questo ritmo porterebbe aad almeno 45.000 morti in un anno a fronte degli 8000 stimati per l’influenza. Lasciando da parte questi numeri non del tutto verificabili, resta il fatto che questo governo sta facendo vincere i no vax. Il messaggio è chiaro: prudenza nei confronti degli anziani e dei fragili, ma nessuna campagna vaccinale, nessuna restrizione (gli ospedali decidono autonomamente di imporre le mascherine) e nessun contributo speciale per il piano vaccinale. Anzi, in alcune regioni, Lazio incluso, è stato difficilissimo riuscire a farsi fare il nuovo richiamo per il covid, pochssime dosi ai medici di base, arrivo in farmacia a fine novembre, pochissimi centri vaccinali delle ASL da cercare e prenotare di persona o telefonando a numeri che non rispondono mai.
Scosso dai numeri il ministro sta per proporre degli open day alle regioni. La parola regioni è quella “chiave” in questa fase.La sanità nazionale è da tempo affidata come applicazione alle regioni ed è inutile tornare sul discorso ben risaputo dell’obbligatorio turismo sanitario da una regione all’altra e dal divario sempre più evidente fra nord e sud. Se la regione Calabria ha avuto 6 commissari per la sanità e non riesce a fare interventi oncologici sufficienti alle richieste, la regione Sardegna non ha fatto richiesta per i fondi necessari per l’accessibilità degli invalidi, e così via. Si potrebbe scrivere un trattato.
Dunque la domanda ora non può che essere: quale abisso si aprirà nella sanità pubblica se sarà approvata l’autonomia differenziata? Qual è l’interesse verso la sanità privata, compresa e molto quella non convenzionata, che ispira questo governo?
Sono proprio tanti i motivi per essere solidali con medici e infermieri, se vogliamo che la salute sia un bene accessibile a chi ha di meno come a chi ha di più. Sbagliano, forse in malafede, quei giornali, purtroppo anche il più diffuso e importante, che parlano di uno sciopero solo per motivi economici:il nostro personale sanitario combatte per una sanità migliore per ciascuno di noi e merita tutto il nostro rispetto.