Irrintracciabile per 20 giorni come un desaparecido sudamericano del secolo scorso, Aleksei Navalny – il prigioniero di coscienza più noto della Russia – è riapparso nella colonia penale n. 3, a Kharp, nel distretto autonomo di Yamalo-Nenets. Una volta individuata la città di Kharp, nella zona dell’Artico, fa impressione vedere la distanza da Mosca: 2000 chilometri buoni, che renderanno estenuanti e complicate le visite al detenuto.
Nei confronti di Navalny è stata applicata la prassi ereditata dal sistema sovietico di trasferire a scopo punitivo i dissidenti: lunghi viaggi in treno, in condizioni di enorme vulnerabilità, senza poter avere contatti con l’esterno, verso destinazioni remote.
Durante la detenzione, Navalny è stato posto decine di volte in cella di punizione o in cella d’isolamento, senza poter ricevere visite o corrispondenza, svolgere esercizio all’aperto o acquistare cibo in più allo spaccio della prigione.
Dal primo verdetto nei suoi confronti, risalente al 4 febbraio 2021, Navalny ha accumulato condanne per 19 anni, a seguito di accuse fabbricate come “riabilitazione dell’ideologia nazista” o “finanziamento e incitamento all’estremismo”. All’inizio di dicembre gli è stata mossa una nuova accusa, per “vandalismo” ai sensi dell’articolo 214 del codice penale, per la quale rischia un’ulteriore condanna.
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