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Una poetessa geniale Gaspara Stampa (Padova 1523 – Venezia 1554)

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In occasione dei cinquecento anni dalla nascita di Gaspara Stampa (1523-1554), poetessa veneziana (ma padovana di nascita) ammirata ed elogiata dai suoi contemporanei per l’alta qualità dei suoi versi, abbiamo voluto renderle un doveroso omaggio dedicandole lo spazio della nostra rubrica mensile «Dalla parte di lei».

Gaspara Stampa, oltre che per i suoi versi, è stata celebrata dai letterati del suo tempo per essersi distinta nell’esercizio di «musica eccellente»: frequentava i cenacoli letterari della vivace élite intellettuale nella città lagunare cinquecentesca, dove aveva trasferito la residenza con la madre Cecilia, la sorella Cassandra e il fratello Baldassarre dalla nativa Padova, dopo la morte del padre Bartolomeo, e dove si esibiva cantando e suonando il liuto e la viola da gamba. Perissone Cambio, allievo del compositore fiammingo Adrian Willaert, all’epoca cantore a San Marco, le ha dedicato nel 1547 il Primo Libro de’ madrigali a 4 voci, indirizzandole parole lusinghiere: «Perché si sa bene homai […] niuna donna al mondo amar più la Musica di quello che fate voi, né altra più raramente possederla».

Il padre Bartolomeo era un valente orafo (aurifex) padovano in contatto con il gruppo di artisti impegnati nei primi decenni del Cinquecento nel cantiere per la realizzazione della cappella dell’Arca del Santo. A queste relazioni potrebbe essere ricondotta la presenza (altrimenti enigmatica) del busto di Gaspara ai piedi della statua di Andrea Briosco, unica presenza femminile tra le statue di Prato della Valle in Padova.

È la stessa Gaspara a dichiarare le sue origini padovane in un sonetto che recita:

Voi n’andaste, signor, senza me dove

il gran troian fermò le schiere erranti,

ov’io nacqui, ove luce vidi innanti

dolce sì, che lo star mi spiace altrove (Rime, ccliii, 1-4).

 

Nel dichiarare la sua origine, Gaspara evoca la mitica figura di Antenore, considerato il fondatore della città, ed esprime altresì la nostalgia per il luogo natio da cui è costretta ad allontanarsi dopo la morte del padre nel 1529.

Documenti d’archivio attestano che la famiglia disponeva di discrete risorse economiche che si mantengono tali anche dopo la morte di Bartolomeo.

Il fratello di Gaspara, Baldassarre, muore giovanissimo nel 1544. In questo periodo si colloca la relazione di Gaspara con un patrizio della famiglia Gritti, dal quale ha avuto due figlie, che vengono menzionate nel testamento della sorella Cassandra datato 1576, dove nomina sue eredi universali le nipoti Elisabetta e Sulpizia. Di questa presenza non troviamo traccia nei versi di Gaspara e il testamento è stato recuperato in anni recenti grazie ad accurate ricerche d’archivio.

Evento centrale nell’esistenza della poetessa padovana è l’incontro con il nobile trevigiano di antico lignaggio Collaltino di Collalto, conosciuto per la comune frequentazione della casa di Domenico Venier in santa Maria Formosa, dove si riunivano a fare poesia e a discutere di letteratura, oltre ai letterati, anche musicisti e filosofi. Collaltino, uomo colto e cultore della poesia, amava quelle conversazioni letterarie e si faceva spesso mecenate di letterati e poeti del suo tempo. La sua relazione con Gaspara, che copre un arco temporale dal 1548 al 1551, è tuttavia segnata dalla discontinuità e dalla freddezza di lui agli accorati appelli della giovane donna innamorata. Gaspara nei suoi versi si rivolge a lui attraverso il senhal «colle alto», «alto colle», scomponendo e combinando insieme i tratti della denominazione di origine dell’amato, Collalto, appunto, nella Marca trevigiana.

Le Rime di Gaspara vengono pubblicate postume nel 1554. È la sorella Cassandra a prendersi cura del «libro» per farlo arrivare alla stampa. Si realizza così il “desiderio”/”progetto” di Gaspara, di poter dare forma e sostanza a quel «picciol libro» da lei accuratamente predisposto per la stampa prima della sua morte, il «povero libretto», a cui si rivolge direttamente congedandosi dal suo «Illustre … Signore» Collaltino di Collalto: «E tu libretto mio depositario delle mie lagrime, appresentati nella più humil forma, che saprai dinanzi al Signor nostro in compagnia della mia candida fede».

Nella lettera dedicatoria a Collaltino di Collalto, premessa alle Rime, Gaspara Stampa, vestendo l’abito di una moderna eroina che riecheggia vistosamente l’antica poetessa di Lesbo, Saffo, si accinge a rinnovare il dolore per le sue «pene amorose», tematizzando la funzione essenziale della «memoria» e lasciando intravedere quali «antiche e moderne carte» fossero squadernate ben in vista sul suo scrittoio. Sulle orme della poetessa antica, anche Gaspara lamenta l’assenza dell’amato che preferisce inseguire fama e onori combattendo, e tralascia i dolci connubi con la fanciulla amata. Così l’amore diventa dolore per l’assenza dell’amato, il canto alterna gioia a tristezza. Al ricordo dei momenti felici, dei «novi diletti», all’incanto dell’amore generatore di poesie, subentra l’abbandono da parte dell’amato che provoca dolore per la lontananza, deprivazione, sottrazione di energia e di vita. Così parlare dell’amato assente aiuta ad allontanare gli effetti distruttivi del dolore.

Gaspara denuncia anche l’inefficacia della scrittura epistolare, le lettere e i versi destinati a rimanere inevasi, senza risposta. Se le rime e lettere inviate in ordine sparso non hanno mosso la pietas dell’amato (Collaltino di Collalto), né hanno ottenuto la cortesia di una responsiva, ora miglior destino dovrebbe assolvere questo opus, questo libro che renderà presente non tanto l’«abisso infinito di dolore» che «è mar senza fondo», ma almeno una parvenza di esso, una minuscola particula. Il «povero libretto» di rime dovrebbe servire a rinnovare la «memoria» della «dimenticata e abbandonata Anassilla».

Gaspara Stampa nel narrare la «historia delle sue gioiose pene» non indica alle lettrici un asse cronologico come nella scrittura diaristica, non registra eventi o situazioni, ricorrenti invece nel canzoniere di Petrarca. L’unico indicatore di senso è l’opposizione presenza/assenza della persona amata, cioè di Collaltino. Anche i luoghi che compaiono nel fondale scenografico, dal «sacro fiume beato», il Piave o Anasso (da cui deriva Anassilla), al «bel colle» della marca trevigiana, dall’«alto colle» di Collalto al «mare nostro» della topografia lagunare, assumono valenze euforiche o disforiche in corrispondenza della presenza/assenza dell’amato. L’io che si narra è un «io» amante che mette in parole e in carte il farsi e disfarsi della propria passione amorosa, la veridicità della propria «storia d’amore» dal punto di vista del soggetto che ne fa esperienza diretta. Le interferenze esterne sono ridotte al minimo, praticamente assenti i dati referenziali certi, con l’eccezione degli eventi bellici, appena allusi, che scandiscono le imprese militari dell’eroe amato: l’impresa di Boulogne sur-mer nel 1548, conclusasi nel marzo del 1550. È questo evento bellico, storicamente attestato, a costringere lontano da Venezia, in Francia, Collaltino di Collalto.

La poesia di Gaspara Stampa è dettata da Amore e ispirata dalla presenza dell’Amato: la costruzione dell’immagine di sé attraverso la parola poetica non obbedisce a desiderio di fama ma è abitata da aspirazioni più profonde. L’«istoria delle mie gioiose pene» narrata da Gaspara nelle Rime diventa un’autobiografia intellettuale che del soggetto di enunciazione (segnalato dal possessivo «mie») racconta le «pene» d’amore (per questo l’ossimoro «gioiose») ma racconta anche la fatica e il dolore di «dir in rime l’alto desio», cioè di scrivere, perché l’«occhio interno» dell’amato non prova interesse per i «segreti del core» di Gaspara. Così le Rime raccontano come Gaspara, per rendere meno doloroso il dolore, lo esorcizzi con la poesia, si lasci abitare dal dolore dell’assenza e della perdita senza tuttavia fissarsi in esso.

Le Rime, come accade alla mitica figura di Eco, fanno risuonare alle orecchie del conte le sue «voci rotte» dal pianto e dal lamento, in una variazione di registri sempre aderenti ad una musicalità ben temperata, dall’elegiaco all’epico, dal suasorio al tragico. Dall’adagio con sentimento all’andante con moto, dal pianissimo al forte, la scrittura poetica si fa memoria di un’esperienza consumata in equilibrio incerto tra essere e non essere («così fra viva e morta Amor mi tiene»). Una storia che percorre il tema e l’esperienza del dolore in poesia, coniugando insieme le ragioni di una biografia (amore infelice), e le possibilità espressive offerte dal codice lirico.

L’opera poetica di Gaspara Stampa, «unica» e «ultima», ne diventa pertanto il testamento spirituale, il congedo dalla vita, situandosi in un confine incerto e aleatorio tra felicità e dolore. Le Rime postume siamo autorizzati a leggerle come un «breviario d’amore» che tuttavia non prevede una scansione cronachistica, né assume un andamento accostabile al modulo del «giornale intimo». Parafrasando un noto libro di Roland Barthes, potremo denominarle frammenti d’un discorso amoroso. Frammenti, schegge, scintille, brevi sequenze – microtesti appunto – dove l’assenza si fa figura, e induce a parlare e/o scrivere dell’assente. In questa cornice, parlare dell’assente serve per allontanare la morte, per sospenderne gli effetti distruttivi: «così fra viva e morta Amor mi tiene, / e vita e morte ad un tempo mi vieta» (cxxxiii). Amore è per Gaspara il punto di forza, che nella tensione continua tra la vita e la morte la spinge a superare il limite del contingente, del corporeo, per spingersi sempre più verso l’intus, verso l’indicibile della consapevolezza di sé.

La “fortuna” letteraria di Gaspara Stampa ha avuto nei secoli un andamento discontinuo: dopo l’edizione delle Rime del 1554 e la prematura scomparsa, la sua figura è caduta in un profondo oblio, dimenticata dalla società letteraria, quasi ibernata in un limbo senza luogo e senza tempo. È merito di Luisa Bergalli aver riportato l’attenzione sulla poesia di Gaspara Stampa, a quasi due secoli dalla sua morte, dapprima proponendone un’ampia scelta di sonetti nella sua antologia dedicata agli «ingegni femminili», i Componimenti poetici delle più illustri Rimatrici d’ogni secolo del 1726 e, qualche anno più tardi, con la ristampa delle sue Rime del 1738, corredate da un ritratto e da una sequenza di sonetti elogiativi che assumono la consistenza di un «tempio» alla sua memoria.

In anni a noi più vicini, progettando il Libro delle ottanta poetesse, Cristina Campo si prefigge di raccogliere «le più pure pagine vergate da mano femminile attraverso i tempi» per documentare «l’incomparabile forza e semplicità della voce femminile» e tra le «voci» selezionate compare anche il nome di Gaspara Stampa, di cui in una lettera ad un’amica Cristina Campo scrive: «quella era un genio, mi pare […] debbo parlarne».

Per celebrare degnamente i cinquecento anni dalla nascita della poetessa veneziana, la casa editrice Eidos diretta da Vittoria Surian ha realizzato uno splendido Album (cm 30×30) dal titolo: Gaspara Stampa Poi che m’hai resa Amor la libertade (Eidos, dicembre 2022, s.i.p.).

L’Album che prende il titolo da uno dei sonetti offre una selezione di temi e di componimenti in grado di produrre un affascinante percorso attraverso le Rime di Gaspara. Scandito in diciotto capitoli tematici, che corrispondono ognuno ad una pagina aperta dell’Album, per un totale di 48 pagine, il volume si può aprire e leggere partendo da un qualsiasi punto del percorso. Ma c’è un’altra peculiarità che fa di questo Album un unicum nel suo genere: ognuno dei diciotto capitoli è costruito su una doppia relazionalità di carattere tematico e storico, ed è aperto da un sonetto delle Rime, ripreso dalla prima impressione cinquecentesca. E in ogni pagina alla scrittura si affianca la dimensione iconografica con immagini di palazzi, chiese, pitture e sculture situate in quella particolare scenografia liquida tra calli e campielli veneziani. Non solo, ogni capitolo ha uno spazio fisso dedicato a «Gasparina e le altre», dove si rincorrono in una ideale “galleria di ritratti” altrettante figure di letterate, poete, filosofe che le hanno camminato accanto, o, a distanza di secoli, hanno rivolto indietro il loro sguardo, recuperando temi e motivi dalle sue Rime: da Maria Zambrano a Cassandra Fedele, da Luisa Bergalli a Maria Savorgan, da Moderata Fonte a Veronica Franco, da Virginia Woolf a Elena Cornaro Piscopia, da Saffo fino a Simone Weil.

Per fare un esempio, vediamo il capitolo intitolato Notte beata, che si apre sul famoso sonetto CIV (O notte, a me più chiara e più beata), i cui versi suggeriscono accostamenti ‘giudiziosi’ a versi di Saffo, Emily Dickinson, Jacqueline Risset, Patrizia Valduga, Teresa d’Avila, per chiudersi sui versi di Simone Weil, Venezia salva, nella traduzione di Cristina Campo.

Le celebrazioni in occasione del quinto centenario della nascita di Gaspara Stampa hanno avuto un momento di alta originalità e intensità nelle giornate veneziane del 18-19 maggio u.s. intitolate “Queste rive ch’amai sì caldamente”, dove alla giornata di studio è stata affiancata un’indimenticabile passeggiata letteraria sui luoghi frequentati da Gasparina conclusasi con un “concerto per Gaspara”. Nei prossimi giorni avremo una tournée dedicata a Gaspara Stampa che vede coinvolte l’Accademia Olimpica di Vicenza dove il 30 novembre avremo una tornata accademica dedicata alla poetessa veneziana, l’Ateneo di Scienze Lettere ed Arti di Brescia, dove il 29 novembre si tiene un convegno dal titolo Gaspara Stampa e le altre; l’Università di Padova, con il Dipartimento di Studi Linguistici e Letterari (DiSLL), che organizza il 1 dicembre un convegno dal titolo “Per amar molto ed esser poco amata”. Gaspara Stampa e la sua fortuna.


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