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Stupori e misteri ne “La leggenda del santo bevitore” interpretato da Carlo Cecchi

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Milano, Teatro Franco Parenti – “Conceda Dio a tutti noi, a noi bevitori, una morte così lieve e bella!”
Queste sono le ultime parole de La leggenda del santo bevitore di Joseph Roth. È un augurio rivolto dall’autore a se stesso e a tutti i bevitori, e se i bevitori sono, in ultima analisi, dei peccatori, a tutta l’umanità.
Con queste parole inizia e finisce, (un cerchio che si chiude), lo spettacolo al teatro Franco Parenti.
lieve e bello è il racconto di Joseph Roth.
La tensione narrativa, alimentata da imprevisti e colpi di scena, (i miracoli a cui è esposto il protagonista), creano un’atmosfera di stupore e di mistero, in cui s’infiltra un’impalpabile, malinconica ironia che pervade tutta la narrazione. Il linguaggio, contrassegnato dalla stringatezza e dalle reiterazioni, collabora a far lievitare un’atmosfera particolare, quasi onirica, di fiaba epica.
Pubblicato postumo, La leggenda del santo bevitore è un racconto terminato un mese prima della morte del suo autore. Joseph Roth muore il 27 maggio 1939 a Parigi.
È un racconto autobiografico che descrive gli ultimi giorni di vita di Andreas Kartak, un vagabondo alcolizzato, ex-detenuto (ha ucciso il marito della sua amante che la stava picchiando a morte), ex-minatore, ex-contadino, costretto a vivere sotto i ponti della Senna a Parigi.
Il primo capitolo è focalizzato sulla figura di un uomo maturo, ben vestito, che scende gli scalini di uno dei ponti della Senna e porge, scusandosi, 200 franchi a un vagabondo “malvestito e barcollante” che nel successivo capitolo scopriamo essere il nostro eroe, Andreas Kartak. L’atto è talmente gratuito che il beneficiario, pur avendo molto bisogno di quella somma di denaro, la respinge in nome della sua onorabilità: “Il denaro che mi offre non posso accettarlo, e questo per i seguenti motivi: primo, perché non ho il piacere di conoscerla; secondo, perché non so come e quando potrò renderglielo; terzo, perché lei non ha nemmeno la possibilità di sollecitarne la restituzione. Non ho infatti un indirizzo. Sto quasi ogni giorno sotto un ponte o l’altro di questo fiume. Ma, come ho già affermato una volta, sono un uomo d’onore, anche se senza indirizzo”. (Joseph Roth, La leggenda del santo bevitore, Adelphi, Milano 1975, p.11).
Il signore maturo insiste e per la eventuale restituzione lo rimanda a una statuetta di Teresa di Lisieux, presso una cappella della chiesa di Santa Maria di Batignolles.
Gli altri quattordici, brevi, capitoli del racconto sono focalizzati su Andreas e ci descrivono le sue picaresche vicissitudini. Andreas non si arrende. Cerca sempre di restituire i 200 franchi avuti in prestito ma ogni volta che sta per farlo non ci riesce, depistato da amici, nuove o vecchie amanti o dall’effetto dei pernod, nonostante i miracoli che gli fanno recuperare il denaro necessario, il buonumore e la buona volontà.
Alla fine, dopo averla sognata, incontra una Teresa. È Teresa di Lisieux o una sua reincarnazione come ci invita a credere, ad esempio, il film di Olmi?
È una ragazzina, “giovane come gli pareva non fosse mai stata nessuna ragazza veduta prima, ed era completamente vestita di colore blu cielo. Era blu come lo può essere solo il cielo in certi giorni, e soltanto in quelli benedetti.” (Ibidem, p.72).
Andreas cercherà di darlo a lei il denaro. Lei non lo accetta e subito dopo Andreas, invocando Teresa, dopo aver indicato con un gesto della mano la tasca in cui tiene il denaro per lei, morirà per un attacco di cuore.
Coadiuvato da Claudia Grassi (giovane lettrice) e Giovanni Lucini (barista), collocato nello spazio scenico minimalista ma propulsivo disegnato da Gianmaurizio Fercioni, con le suggestioni visive di Luca Scarzella e Vinicio Bordin, grazie alla regia di Andrée Ruth Shammah, Carlo Cecchi offre una fisicità fragile ma pervasiva che s’insinua e si espande nel testo di Roth. Con la sua voce, con il suo corpo, con le mani, con le braccia, con le gambe, con i piedi, con una postura che non è mai frontale ma obliqua, di profilo o di tre quarti, raccoglie i ritmi, illumina le pieghe, ricrea le storie e i caratteri del protagonista e degli altri personaggi di questo classico della letteratura. Non si limita a leggerlo, attraversarlo e interpretarlo in modo seducente, emozionante, ma lo perfora, lo frantuma, lo moltiplica, lo incrementa, senza deformazioni, senza forzature, rispettandone l’architettura e la lettera.
Un’ora e mezza di teatro di parola, di spettacolo della parola, intenso, vero, antico, che vola in un istante, lieve e bello.

La leggenda del santo bevitore
di Joseph Roth
Adattamento e regia di Andrée Ruth Shammah
con Carlo Cecchi e con Claudia Grassi e Giovanni Lucini
Spazio scenico disegnato da Gianmaurizio Fercioni, con le suggestioni visive di Luca Scarzella e Vinicio Bordin
Luci: Marcello Jazzetti
Costumi: Barbara Petrecca

Al Teatro Franco Parenti dal 16 novembre al 6 dicembre

Stupori e misteri ne “La leggenda del santo bevitore” interpretato da Carlo Cecchi


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