Dunque, a quanto pare, si può dare senza problemi della “troia” a Ilaria Cucchi: lo ha stabilito la Procura di Roma e noi, pur dissentendo fortemente, rispettiamo questa decisione. Il punto è un altro: alla solidarietà attiva nei confronti di Ilaria e della sua famiglia, già provate da oltre un decennio di battaglia in sede legale e nel Paese per chiedere, e per fortuna ottenere, verità e giustizia per la morte di Stefano, non può che affiancarsi una riflessione su ciò che siamo diventati. Dobbiamo riflettere, infatti, sul degrado morale cui stiamo andando incontro. Del resto, i toni utilizzati sui social nei confronti di Ilaria, ad opera dei soliti odiatori di professione, non sono poi così diversi da quelli utilizzati da una parte del nostro ceto politico, che a lungo ne ha messo in discussione la moralità, ferendola nel profondo e causandole problemi enormi, fino a fiaccare la resistenza strenua dei suoi genitori. E sono molto simili a quelli delle celle di Bolzaneto, a quelli che si sono abbattuti contro l’allora presidente della Camera, Laura Boldrini, e a quelli che hanno travolto l’allora ministra della Pubblica istruzione, Lucia Azzolina. Dietro questa Intifada nei confronti delle donne, non c’è solo il senso di impunità e di onnipotenza che pervade una componente non piccola del machismo italiano: c’è un desiderio ardente di sfregiare, nel corpo e nell’animo, personalità che non stanno al loro posto, ossia nel cantuccio che il fascismo di ritorno ha previsto per la donna, intesa come moglie, madre e “angelo del focolare”, in una riedizione neanche troppo folkloristica della tragedia che fu.
Quando sosteniamo che, da Bolzaneto in poi, questo Paese abbia perso la bussola, ci riferiamo ad aspetti di tale gravità. L’indicibile è diventato dicibile, l’insulto è stato elevato a forma di lotta politica, la barbarie è comunemente accettata, il buonsenso è venuto meno, il rispetto per l’altro non esiste praticamente più e l’umanità è ritenuta da molti, compresi alcuni insospettabili, un orpello.
Solidarietà a Ilaria e alla sua famiglia, pertanto, lo ribadiamo con forza, ma non ha alcun senso se non la si accompagna con un’azione educativa nelle scuole e, per quanto ci riguarda, con un impegno costante a isolare quella frangia della nostra categoria che, sostanzialmente, giustifica o, peggio ancora, adopera toni analoghi a quelli che la Cucchi ha denunciato in un post su Instagram. Non è lei a dover chiedere scusa: siamo noi. Per non averla saputa proteggere, per non esserle stati a fianco con il dovuto vigore, per aver consentito che tutto ciò accadesse. Noi, come Articolo 21, nel nostro piccolo, lo abbiamo fatto e continueremo a farlo. L’importante è che altri, tanti altri, seguano il nostro esempio. Dall’imbarbarimento della società, difatti, a trarne vantaggio sono solo le belve, e l’estate appena trascorsa ha reso evidente dove possa condurre questo clima di ferocia senza fine. Poi arriva la destra, questa destra, con le sue grida manzoniane e i suoi proclami, gettando fumo negli occhi e alimentando a dismisura il cattivismo già ampiamente diffuso. Non serve a niente, se non a strappare qualche titolo urlato sulle prime pagine di certi giornali e qualche like sui social. Mai come ora, abbiamo il dovere di essere radicalmente l’opposto.
Solidarietà attiva, per l’appunto, in nome degli ideali che ci accomunano a questa donna straordinaria e alla sua splendida comunità.