Serve una legge che porti nelle scuole l’educazione affettiva

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Ha ragione Fabio Roia, presidente vicario del Tribunale di Milano, “la violenza sulle donne, che si spinge fino al femminicidio, è un problema culturale e sociale e, purtroppo, lo squilibrio di potere nei rapporti fra i sessi è ancora forte. Dobbiamo prestare molta attenzione alle giovani generazioni, dove resta ancora alta l’idea del predominio maschile”. Giulia era pronta per la laurea, davanti al cancello di casa ci sono tre nastri rossi a ricordare quel traguardo che le è stato negato. Le è stato strappato il futuro, non le è stato permesso di decidere della sua vita. A tante, troppe ragazze e donne questo non è permesso, da chi non accetta  le loro conquiste, la loro autodeterminazione, la loro libertà, la loro voglia di  rivendicare, e poi di vivere, opportunità uguali e meritate. Non si scriva, adesso, che Giulia non avrebbe dovuto accettare l’invito di Fabio e del femminicida non si dica  che “era un bravo ragazzo”. Perché, quando si sono perse le tracce, abbiamo temuto questo epilogo: abbiamo provato ad allontanarlo con la speranza, ma la violenza, l’egoismo, la brutale supremazia dell’uno sull’altra, hanno segnato, fin dall’inizio, un fatto che non può e non deve restare solo cronaca da prima pagina, che fra qualche giorno sarà già scivolata nelle notizie minori.  Serve una legge che porti nelle scuole l’educazione affettiva e insegni il rispetto: la si faccia, una volta per tutte, perché di ‘spot’ siamo tutte stanche e il cambiamento che vogliamo va costruito insieme, donne e uomini. Fin dall’infanzia. Lo dobbiamo, tutte e tutti, a Giulia, alle tante che sono state ammazzate, a quelle che subiscono abusi, molestie, mobbing, sottovalutazione. Cambiamola insieme questa società, senza aspettare un’altra vittima. L’informazione ha un ruolo primario, il racconto della violenza ha due fari, il Manifesto di Venezia, e l’articolo 5 bis del testo unico: l’Osservatorio indipendente, grande conquista grazie all’Università ‘La Sapienza e al lavoro della rete delle Cpo (Fnsi, Ordine e Usigrai) e dell’associazione Giulia Giornaliste, permetterà di tenere i fari sempre accesi su un fenomeno, purtroppo endemico, di questo paese, che va affrontato  e non politicizzato, come sta succedendo, purtroppo, nelle ultime ore. Attaccare Elena Cecchettin, la sorella di Giulia, per come è vestita e per le sue parole è un’altra grave forma di rivittimazzazione, da combattere. La cultura del rispetto, appunto, e della parità deve diventare patrimonio di un paese che, a oggi, conta già 106 femminicidi nel 2023. No, non sono diminuiti, come qualcuno sostiene: aumentano, perché ancora troppo spesso l’indignazione, la rabbia, le lacrime durano fino al prossimo fatto di cronaca, al prossimo paio di scarpe rosse di una triste e pesante collezione.


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