Scendere in piazza e accompagnare Sigfrido Ranucci all’audizione prevista per martedì 7 novembre in Commissione di Vigilanza RAI è un dovere morale. È un dovere morale per chiunque non si ritenga un intellettuale da scrivania e sappia che ci sono momenti nella storia in cui non basta metterci la penna e la tastiera ma occorrono pure corpo e anima. Esprimere solidarietà alla redazione di Report, infatti, è anche un modo per opporsi concretamente al progetto di smantellamento della Costituzione cui stiamo assistendo da vent’anni e che sembra essere ormai giunto al culmine, in un Paese fiaccato da molteplici crisi, con le istituzioni ridotte ai minimi termini, i partiti di fatto estinti e un’opposizione non ancora in grado di esercitare pienamente il proprio ruolo.
Bisogna esserci come cittadine e cittadini, come persone che credono nei capisaldi del nostro vivere civile e intendono difenderli dall’assalto concentrico che ha nella modifica sostanziale della Carta costituzionale il proprio fine ultimo e nel mettere a tacere l’informazione scomoda il mezzo per raggiungere lo scopo. Come ha spiegato lo stesso Ranucci in un’intervista al Fatto Quotidiano, Report dà fastidio perché pone domande cui la classe dirigente non è più disposta a rispondere. Svolge, dunque, quella funzione di sentinella della democrazia cui si vogliono chiudere gli occhi. L’antipatia è trasversale, piu diffusa di quanto non si pensi, il che testimonia il degrado dei tempi che stiamo vivendo. Mai prima d’ora, difatti, abbiamo avuto la sensazione che i tentativi di neutralizzare il pensiero critico fossero così netti e profondi. Nel caso specifico, l’addio di Fazio alla RAI e lo spostamento di Report al suo posto, in una collocazione del tutto sbagliata, fanno capo allo stesso progetto. Quanto a Raitre, con tutta la buona volontà, stentiamo a riconoscerla, e anche questo non ci sorprende. Sembra quasi, o almeno così dicono i maligni, che gli ascolti e la qualità del prodotto offerto al pubblico contino assai meno dello snaturamento di un patrimonio del Paese che per oltre trent’anni, da Guglielmi in poi, ha forgiato un immaginario collettivo in linea con i principî costituzionali, capace di far compiere all’Italia qualche passo avanti. Ora si vuole tornare indietro praticamente su tutto e Raitre, almeno per come l’abbiamo intesa fino a qualche mese fa, costituiva un ostacolo a questo proposito.
Report, finora, ha resistito, mantenendo ottimi ascolti e riuscendo a tenersi stretto un pubblico colto e affezionato a una certa idea di giornalismo e di televisione. Nulla, tuttavia, può essere dato per scontato in questa stagione di rivolgimenti globali in chiave regressiva, nella quale ogni certezza sta venendo meno e i cardini dell’anti-fascismo e della democrazia rappresentativa sono messi in discussione pressoché ovunque.
Lo ricordiamo agli smemorati, ai “moderati” e ai complici, volontari o involontari, di quest’ennesimo piano per alterare la Costituzione: il premierato, di fatto, esiste già, specie se si considera che il nome dell’attuale Presidente del Consiglio campeggiava a caratteri cubitali sul simbolo del suo partito e che il Parlamento, non certo da oggi, è stato praticamente esautorato e ridotto a un mero votificio, chiamato unicamente a ratificare le scelte del governo e privato della doverosa dialettica fra maggioranza e opposizione. Ciò che si vuole introdurre, pertanto, è un presidenzialismo mascherato a reti unificate, in cui il Capo dello Stato si trasformi in un passacarte e l’informazione svolga il ruolo che avevano gli artisti al soldo delle corti rinascimentali, ossia decantare le radici e le gesta della casata che li aveva presi sotto la propria alla protettrice. Report, al pari di Presa diretta, è nato invece per essere una costante stecca nel coro, per controllare il potere e per rendere effettivo il diritto della cittadinanza di essere informata sul suo operato. Nasce, insomma, per essere servizio pubblico in un Paese in cui l’articolo 21 non sia un orpello ma uno dei cardini della Carta e del nostro stare insieme. È, dunque, per difendere tutto questo che martedì sera costruiremo la scorta mediatica di Ranucci e del suo gruppo di lavoro, ispirandoci anche alla lezione di un grande intellettuale come Alessandro Galante Garrone, scomparso vent’anni fa all’età di novantaquattro anni. Garrone, partigiano, azionista e custode integerrimo della Costituzione, ci ha insegnato che l’intransigenza spesso è una virtù mentre l’accondiscendenza e il servilismo sono il preludio della barbarie. Se siamo ridotti così, è anche perché, in questi due decenni, è venuta meno quella tensione etica. L’importante adesso è battersi affinché non tutto vada perduto.
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