Il crollo degli ascolti delle reti Rai certificato dall’autorevole Studio Frasi non lascia scampo ai dirigenti e al consiglio di amministrazione. Appare francamente incredibile che in presenza di una situazione mai vista in precedenza, con la principale concorrente Mediaset che vince sull’intera giornata, né i dipendenti dell’azienda né la politica si rendano conto dell’enormità di quello che sta accadendo.
La Rai ha troppi canali, la Rai sarà in parte privatizzata, discorsi che nei decenni abbiamo sentito tante volte. E non ci abbiamo giustamente creduto. Ma ora no. Ora per la prima volta è diverso. Questo non è un crollo, è un tracollo. E avviene in una nuova epoca dei media, perché ora la società multimediale è evoluta, non siamo a 20 anni fa quando l’Italia lentamente si affacciava sul web. Ora le prime cinematografi che avvengono sulle piattaforme digitali e lo sport più popolare lo si vede in streaming. Una rivoluzione totale.
Un altro aspetto agghiacciante è che, secondo uno studio SWG, neppure gli spettatori che votano a destra sono attratti dai nuovi programmi della Rai occupata dai partiti di governo. Restano a Mediaset o vanno in giro sulle piattaforme se sono abbonati.
Ci sono dati incredibili, ma il più incredibile di tutti è quello che riguarda Fabio Fazio. Un grandissimo nella storia della TV italiana che non è mai piaciuto nemmeno a tanta sinistra. Nessuno, ma proprio nessuno, avrebbe detto due mesi fa che il passaggio sulla sconosciuta rete TV 9, che sulla piattaforma Sky sta addirittura sul canale 149, non avrebbe comportato quasi alcun cambio di ascolti per “Che tempo che fa”. Dopo la prima puntata è stato un coro,a cominciare dai giornali: è l’effetto della novità, del debutto, della curiosità. Poi è arrivata la seconda, la terza e così via. Fazio regge fisso sopra i 2 milioni di ascolto e sulla Rai c’è una concorrenza bella e importante che si chiama “Report”…ma cosa fa la Rai, cerca di eliminare la trasmissione condotta da Sigfrido Ranucci, bombardato in modo vergognoso dai partiti di maggioranza perché ultimo baluardo del giornalismo investigativo e d’inchiesta che pure un tempo rese famosa perfino la Rai democristiana.
Il servizio pubblico del resto è da sempre un tassello decisivo nei progetti di autoritarismo riguardanti il nostro paese.
Rendere la Rai debole, più piccola, subalterna, fiaccare i giornalisti, normalizzare le redazioni, spegnere ogni pensiero critico verso il potere è un obiettivo primario di questo governo allergico ad ogni applicazione pratica della democrazia, cioè della Costituzione antifascista.
Sottovalutare l’occupazione militare della Rai che neppure Berlusconi aveva spinto fino a questo punto è uno dei tanti errori che stanno commettendo i partiti di opposizione. Trattare e vendersi per un piatto di cicerchie – cioè meno delle lenticchie – è ancora peggio.
La Rai andava tutelata, messa in sicurezza. Leggi sbagliate di tutti i governi degli ultimi 30 anni hanno reso possibile il disastro al quale stiamo assistendo, con un danno aggiuntivo: l’azienda non può fare fronte alla crisi degli ascolti dal punto di vista economico.
Siamo vicini alla dissoluzione del servizio pubblico radiotelevisivo. Uso questo termine non a caso.
Esautorare il parlamento (già in atto), dissolvere il servizio pubblico radiotelevisivo e silenziare la stampa (ampiamente in atto), presidenzialismo (presentato il disegno di legge sul premierato).
Il governo Meloni marcia spedito su questa strada. Scritta esattamente così nel “piano di rinascita democratica” di Licio Gelli e della loggia P2 nel lontano 1981. Un filo nero che l’Italia democratica deve spezzare.