Non portiamo la guerra nei media: due documenti approvati dall’Ordine dei Giornalisti

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Che ruolo deve avere il giornalismo in una guerra? Una prima risposta è: documentare cosa accade. Ma provare a farlo è sempre più pericoloso. I numeri dei colleghi uccisi mentre seguivano la nuova guerra in Medio Oriente lo confermano.

E’ sempre successo? Certo: Robert Capa, il reporter che ha cambiato con le sue mitiche fotografie il modo di raccontare i conflitti armati, venne ucciso da una mina durante la “guerra d’Indocina” nel 1954. Rispetto ad allora sono aumentati i rischi degli inviati per due principali motivi: le guerre sono cambiate, non non è più riconoscibile la “prima linea”; e poi c’è la drammatica abitudine a sfruttare i freelance malpagati e ancor meno assicurati.

Nella nuova puntata del conflitto fra Israele e Hamas c’è un rischio aggiuntivo: c’è l’atroce sospetto che alcuni giornalisti e fotografi siano stati deliberatamente colpiti per impedire il loro lavoro.

L’Ordine dei Giornalisti ha quindi deciso di intervenire con un documento approvato all’unanimità che riporto integralmente.

Con ogni giornalista ucciso si spegne una vita e la possibilità di conoscere e rappresentare i fatti. Nel nuovo conflitto fra Israele e Hamas tra le vittime ci sono anche decine di giornalisti.

Il CNOG aggiunge alla vicinanza alle famiglie colpite, la condanna per chiunque, deliberatamente o meno, vuole impedire il diritto di informare. È proprio in momenti come questi che è ancora più necessario scongiurare il blackout informativo, garantire l’accesso libero e sicuro dei reporter, individuare le forme più corrette di confronto di idee.

Il CNOG ribadisce che sono proprio le testimonianze, i dati, le competenze il primo baluardo alla disinformazione e alle fake-news, fenomeni questi che stanno pericolosamente alimentando nuovi casi di antisemitismo, anti-islamismo e tutte le altre forme di razzismo

Da questa prima presa di posizione dell’Ordine dei Giornalisti nasce una seconda esigenza: non importare la guerra anche nei nostri media. Al di là di come la si pensi non si può che rimanere inorriditi dal livello infimo del dibattito pubblico: opposte fazioni che urlano, che falsificano dati, che s’impadroniscono della rappresentanza di questa o quella comunità, che trasformano gli stereotipi in certezze. E qui la responsabilità dell’Ordine dei Giornalisti, della FNSI e di noi tutti/e è ancora più evidente: ciascuno può e deve fare il possibile per evitare questo strazio. Non è un problema di schieramenti, è un investimento sulla nostra convivenza pacifica. Ogni fake-news è una pallottola sparata contro la comprensione dei fatti, il dialogo. E fomentare questa corrida rende più difficile la discussione e fornisce spunti agli antisemiti, agli anti-islamici, ai razzisti. Da qui è nata l’idea di un secondo documento votato sempre all’unanimità dall’Ordine dei Giornalisti, che riporto integralmente.

Gli episodi di intolleranza e di odio delle ultime settimane, collegabili al conflitto tra Israele e Hamas, trovano alimento anche nello spazio dato a notizie false o incontrollabili, stereotipi spacciati per verità, posizioni estremiste che danno linfa a nuovi casi di antisemitismo, di anti islamismo e ad altre forme di razzismo. Dagli incontri che il CNOG sta avendo in questi giorni con le comunità interessate e le associazioni del Terzo settore arriva la richiesta di una narrazione  rispettosa dei diritti umani che valga per tutti e dell’adozione di un linguaggio giusto ed equilibrato. Il CNOG sollecita le colleghe e i colleghi ad evitare tutte le faziosità, a contrastare le fake-news e i linguaggi d’odio, nel rispetto delle regole deontologiche. L’Ordine dei Giornalisti s’impegna a promuovere quanto prima iniziative di confronto, per fornire ulteriori strumenti di analisi di una realtà complessa com’è quella a Gaza, nei Territori palestinesi e in Israele.

Lette insieme queste due prese di posizione dell’Ordine dei Giornalisti indicano con chiarezza una strada da seguire. Che si può seguire. Chi vuole zittire i giornalisti ha sempre uno scopo pernicioso. Vuole nascondere i propri crimini, vuole tacitare le voci critiche, vuole smerciare odio, un asset che costa poco e rende molto.


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