In queste settimane parliamo tanto di donne. E quando parliamo di donne parliamo anche di lavoro. Oggi più che mai non possiamo non chiederci a che punto siamo con il tasso di occupazione femminile, se il nostro lavoro è adeguatamente retribuito e se gli aiuti alle famiglie sono sufficienti perché le madri possano trovare il giusto equilibrio tra esercizio della professione e compiti di cura.
I dati purtroppo non sono confortanti per quanto riguarda l’Italia, sotto nessuno di questi profili.
Il 15 novembre è stata la giornata europea per la parità retributiva ed è emerso che le donne, anche italiane, guadagnano in media il 12,7% in meno rispetto agli uomini in un anno. Una disparità che si traduce in circa 46 giorni di lavoro. E’ stato calcolato simbolicamente che proprio dalla metà di questo mese fino alla fine del 2023 è come se lavorassero gratuitamente.
Ma non basta. Dalle ricerche più recenti emerge che il tasso di occupazione femminile del nostro Paese è uno dei più bassi in Europa e che negli ultimi dieci anni 390mila donne hanno lasciato il lavoro non appena sono diventate mamme. L’inverno demografico rischia di farsi sempre più rigido se non arriveranno più supporti per chi stringe tra le braccia un neonato. Il tasso di occupazione rischia di scendere sempre di più, dicono gli esperti, se chi ha famiglia non è messo nelle condizioni di avere una serenità organizzativa a casa tale da poter svolgere il proprio mestiere al meglio. La soluzione proposta da più parti seguirebbe una semplice operazione: aumentare gli asili nido farebbe crescere l’occupazione femminile e aumentare le nascite. Che peccato invece leggere che stiamo andando in direzione opposta.
Nell’ultima versione del Pnrr sono stati cancellati 100.000 dei nuovi posti promessi negli asili nido, rovesciando completamente la prospettiva aperta dalla prima versione del Recovery Plan di Mario Draghi che aveva stanziato 4,6 miliardi di euro da investire in queste strutture.
Chi si occupa della prima infanzia insiste sull’urgenza di una rivoluzione culturale che porti al centro il tema degli asili nido anche quale antidoto alla povertà culturale, intesa come privazione da parte dei bambini e delle bambine della possibilità di apprendere e sviluppare liberamente le proprie capacità.