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Nasce il terzo governo Sánchez

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Nasce il terzo governo Sánchez. Il presidente del governo ha presentato oggi i ministri. Lunedì scorso la registrazione del testo di legge sull’amnistia, fulcro dell’accordo, mercoledì il discorso del candidato e le dichiarazioni dei gruppi, giovedì gli ultimi interventi e il voto: 179 sì e 171 no, per la maggioranza assoluta in prima votazione. Si apre un periodo difficile e incerto con sul tavolo nodi importanti della democrazia spagnola.

Il clima è incendiato da settimane. Documenti e appelli contro gli accordi di governo e l’amnistia sono arrivati da giudici, associazioni professionali, studi legali di Madrid, associazioni di polizia e militari.

Il richiamo di José María Aznar del 2 novembre fa scattare l’offensiva, politica, giudiziaria e di piazza. “Il candidato Sánchez è un pericolo per la democrazia costituzionale spagnola”, quanto accade “l’umiliazione più grande in buona parte della secolare storia di Spagna. Una crisi istituzionale straordinariamente grave” davanti alla quale “agire” per impedire la “liquidazione” della costituzione. “Chi può parlare, parli; chi può fare, faccia; chi può aiutare, aiuti; chi può muoversi, si muova”, ha detto Aznar, in quello che ai socialisti ha ricordato un “proclama golpista”.

Domenica 12 circa 80 mila persone hanno manifestato a Madrid, 200 mila in tutta la Spagna. Decine di migliaia di nuovo sono tornate sabato a Madrid. La sede nazionale del Psoe di Calle Ferraz è assediata dai manifestanti ogni sera dal 3 novembre, con incidenti e arresti.

Il Consejo general del poder judicial (Cgpj, il Csm spagnolo), scaduto da cinque anni e non rinnovato dalla maggioranza popolare per mantenerne il controllo, ha condannato la legge prima che fosse pubblica. Iniziativa simbolica, l’organo non ha funzione di vaglio preventivo delle leggi, che rappresenta il livello dello scontro tra magistratura e politica.

Il giudice del Tribunale supremo (TS) Manuel García-Castellón, nel pieno delle trattative per il governo, ha indagato diversi politici catalani, fra cui Carles Puigdemont, di terrorismo, nell’ambito dell’inchiesta su Tsunami democratic (il gruppo che organizzò le proteste successive alla condanna dei leader indipendentisti nell’ottobre 2019). Un colpo all’accordo politico, i reati di terrorismo sono esclusi dall’amnistia, che ha creato tensioni nello stesso TS, coi pubblici ministeri che considerano l’accusa inconsistente e annunciano ricorso.

L’offensiva politica, dopo dichiarazioni di fuoco e ordini del giorno votati nelle assemblee di comuni e autonomie, si concentra sul Senato, dove il Pp ha la maggioranza assoluta e ha riformato il regolamento per controllare i tempi dei provvedimenti d’urgenza, quindi delle misure che fanno parte degli accordi di maggioranza a partire dalla legge di amnistia. Questo il clima. Il futuro sarà difficile.

Nel suo intervento Sánchez è apparso solido. Ha argomentato bene e senza spocchia. Le sfide globali come sfide spagnole (crisi climatica, transizione energetica, sicurezza internazionale, rivoluzione tech e mutazione del lavoro); l’esperienza spagnola (le scelte davanti alle crisi, le politiche redistributive, la costruzione di alleanze) come laboratorio e modello per le sinistre europee. Ha ricostruito con preoccupazione il percorso del populismo nel mondo — Brexit, il trumpismo, Milei — la sua penetrazione nel conservatorismo “classico”, citando il Ppe di Manfred Weber; ha vincolato il Pp a questo fronte; ha datato la scelta del Pp di passare al lato oscuro del populismo, l’uso sistematico della menzogna, alle stragi di Madrid del 2004, col tentativo del governo Aznar di occultare la matrice islamica degli attentati per attribuirli al terrorismo basco, e al reiterare l’ipotesi negli anni successivi, elevando il complottismo al dibattito politico.

Per Sánchez l’amnistia è fatta “in nome dell’interesse della Spagna, in difesa della concordia”, è “perfettamente legale”, “non un attacco alla costituzione del ’78 ma la dimostrazione della sua forza e vigenza”. “Capisco che non tutti possano condividerla, lo rispetto”, ha detto tentando di rassicurare i dubbiosi. Non sarà facile, le contraddizioni esistono, Sánchez e i socialisti più volte hanno escluso amnistia, referendum e mediazione internazionale. Inutile distinguere tra momenti politici, le contraddizioni restano e sono usate dalle destre per accusarlo di mentire e essere disposto a tutto per mantenere il potere.

Nasce il governo dell’amnistia. Un governo di minoranza Psoe – Sumar appoggiato da tutti i partiti spagnoli tranne le destre di Pp, Vox e Unión del pueblo Navarro (Upn). Partiti e famiglie politiche molto diversi: Psoe, Sumar/Podemos, Esquerra republicana de Catalunya (Erc), Junts, EH Bildu, Partido nacionalista vasco (Pnv), Bloque nacional gallego (Bng) e Coalición canaria (Cc). Una maggioranza che rappresenta la Spagna plurinazionale e dice dello stato della destra spagnola, incapace di stringere alleanze al di fuori di sé.

Il progetto di José María Aznar per affrontare la fine del bipartitsmo, costruire con Vox alla destra del Pp un fronte maggioritario rappresentante della “vera Spagna”, è al capolinea. L’ex presidente impone la sua strategia ma Vox e la contrapposizione tra nazionalismi periferici e centralista impediscono al Pp di stringerne col centrodestra basco e catalano.

La divisione non è sull’asse destra / sinistra. Junts è nazionalismo liberal-populista, catalanismo moderato e ascendenze cattoliche cancellati dalla deriva indipendentista, il Pnv è un partito nazionalista di centro, con una matrice democristiana e il suo bagaglio di valori, quella canaria è una coalizione di formazioni autonomiste di centro liberale. Quel che unisce forze così diverse è riconoscere e affrontare la crisi della Spagna delle autonomie, che le destre centraliste negano esistere, descrivendone i sintomi come golpe.

Tutti dentro, all’insegna della sfiducia reciproca. Non si fidano i catalani tra di loro e del Psoe, non si fida Sánchez di Puigdemont e Oriol Junqueras, non si fidano Yolanda Díaz e Pablo Iglesias, non si fidano i baschi. Tre i fronti sensibili. La competizione tra indipendentisti catalani, quella tra il Pnv e Bildu, le tensioni a sinistra del Psoe.

Le criticità maggiori sul fronte catalano, con la competizione tra indipendentisti sempre foriera di incidenti, e a sinistra, coi pessimi rapporti dentro Sumar, tanto che occorre parlare di Sumar / Podemos.

Dei cinque ministeri di Sumar nessuno è andato a Podemos. Volevano confermare Irene Montero, hanno rifiutato altri nomi. Iglesias si tiene le mani libere e si prepara per le europee, valutando la corsa solitaria. Vedremo cosa accadrà, con Podemos sempre più attenta alle relazioni con Erc e Bildu e sempre più lontana da Díaz.

L’unico fronte saldamente controllato da Sánchez è quello interno, con le opposizioni ridotte in questa fase a rango testimoniale. Il presidente di Castiglia La-Mancia, Emiliano García-Page, unico barone socialista a esprimersi contro l’amnistia, si è inchinato all’unità del partito.

Veniamo al testo, un lungo preambolo, 16 articoli, due disposizioni addizionali e una finale, modificabile nel percorso. Un testo scritto dai socialisti, attenti ad aderire pienamente al testo costituzionale, continui i riferimenti a articoli e princìpi costituzionali, sentenze interpretative, precedenti di amnistie, per renderlo inattaccabile al vaglio del Tribunale costituzionale (TC) e a quello della Corte di giustizia dell’Unione europea (CGUE), cui inevitabilmente arriverà. Il sistema legislativo europeo e i trattati internazionali, aventi valore gerarchico superiore alle norme spagnole, sono il terreno su cui il testo basa alcuni pilastri che non trovano solide fondamenta nella Costituzione spagnola.

Senza entrare nel dibattito tecnico, il dibattito tra costituzionalisti è serrato, dalle prime analisi pubbliche attendibili appare un testo solido, aderente al dettato costituzionale. Parte dalla sussistenza dei reati commessi e dalla vigenza e rispondenza delle pene emesse. La misura abbraccia il periodo tra il primo gennaio 2012 e il 13 novembre 2023, dalla prima consultazione promossa nel 2014 dalla Generalitat, allora guidata da Artur Mas —anch’essa dichiarata illegale ma senza tentativi di impedirla con la forza, Mas non venne accusato di sedizione, imputata per i fatti del 2017 e cancellata nell’ambito della riforma del codice penale promossa dal governo Sánchez, ma giudicato e condannato per disobbedienza commessa da funzionari pubblici a due anni di interdizione e al risarcimento di cinque milioni di euro spesi dalla Generalitat— e passa dall’organizzazione e dal voto del primo ottobre 2017, dalla supposta dichiarazione d’indipendenza, il processo, le condanne e le proteste, sino ad oggi.

I beneficiari sono una quindicina di leader indipendentisti, a partire da Puigdemont e Junqueras, su cui puntano tutti i riflettori. Ma anche altre figure, travolte dalla deriva indipendentista: 309 persone e 73 agenti polizia —non le cinquemila, poi divenute oltre mille, di cui parlavano gli indipendentisti—. Si tratta di impiegati e dirigenti pubblici che hanno seguito le indicazioni dall’alto e si trovano a affrontare accuse penali, e di funzionari e agenti dei Mossos de esquadra (la polizia catalana), accusati per la partecipazione al referendum, o della Policía nacional, per le violenze nei seggi referendari.

Vengono amnistiati gli atti determinanti responsabilità penale amministrativa o contabile, e quelli con intenzioni rivendicative, anche se non relazionati direttamente con le celebrazioni referendarie ma legati al “denominato conflitto indipendentista”, quindi ogni atto destinato a rivendicare, promuovere o ottenere la secessione.

Sono esclusi dai benefici gli atti dolosi contro persone che abbiano prodotto offese fisiche, psicologiche e morte, i delitti di tortura, quelli di terrorismo, i delitti contro la pace, l’indipendenza dello stato e la difesa nazionale, quelli contro gli interessi finanziari dell’Ue, quelli di razzismo e discriminazione.

Il testo inizia ora un percorso che può essere lungo. Dovrà essere ammesso dalla presidenza del Congresso e arrivare all’aula per la discussione, e si arriva a ridosso della pausa natalizia. Poi andare al Senato, dove il Pp lo rallenterà, se riesce per altri tre mesi, tornare al Congresso, passare alla firma del re e essere pubblicato nel Boe (la Gazzetta ufficiale spagnola). A questo punto scatterà il ricorso al TC, da parte del Tribunale supremo (che potrebbe anche adire direttamente ala CGUE) o del primo giudice con un caso coinvolto dal provvedimento. Se i costituzionalisti del Psoe hanno fatto un buon lavoro, l’ultima parola sarà all’Europa. Non prima del 2025.


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