L’ultima vittima del massacro di giornalisti tra Palestina e Libano è Alaa Taher Al-Hassanat, uccisa in un attacco aereo israeliano insieme a molti membri della sua famiglia. Poco prima aveva diffuso il suo ultimo video che preannunciava “poteva essere l’ultimo”. Succedeva a Gaza.
Rabih Maamari e Farah Omar, due reporter della rete libanese Al Mayadeen sono “caduti’ in un bombardamento israeliano nell’area libanese di Tair Harfa.
In 6 settimane di conflitto tra Israele e Palestina sono ormai 60 giornalisti uccisi e oggi, più forte che mai, si rinnova l’appello per permettere agli operatori dell’informazione un accesso sicuro a Gaza e piena libertà di stampa.
I dati del Comitato Internazionale protezione cronisti, nella Striscia di Gaza, dal 7 ottobre a oggi, non solo sono caduti decine di colleghi, ma altri 79 hanno riportato ferite e una ventina è finita in carcere.
Il rischio di lavorare sotto i continui bombardamenti ha esposto i reporter a un vero e proprio massacri. In un mese e mezzo di guerra si è raggiunto il numero più alto dal 1992, secondo CPJ.
Un appello internazionale, che ha già raccolto oltre un migliaio di firme, chi scrive è tra i primi firmatari, chiede da tempo l’accesso a Gaza per coprire una guerra di vitale importanza per i nostri Paesi e il nostro futuro.
“Questa non è solo una richiesta per giornalisti -si legge nel testo – ma un appello per difendere i principi fondamentali su cui si fonda ogni società libera e democratica. La copertura giornalistica indipendente è fondamentale specialmente in periodo di guerra. La richiesta è resa ancora più urgente dai continui blackout mediatici che isolano completamente la Striscia di Gaza, rendendo impossibile anche la comunicazione su social network”.
Questo appello vuole ribadire il principio che la stampa internazionale dovrebbe poter entrare in zone di guerra come Gaza per poter “fare il proprio lavoro” e documentare tutto ciò che accade.
La petizione è stata firmata da 520 giornalisti di molti Paesi del mondo. E hanno aderito non solo gli inviati di guerra che si trovano a dover coprire la Cisgiordania e Israele e non possono entrare a Gaza, dove sono in corso massicci bombardamenti, ma anche cronisti e giornalisti di radio, tv, quotidiani e agenzie di stampa di tutta Europa.
Quella in corso in Medio Oriente, si spiega nell’appello, “è una guerra che ha ripercussioni in tutti i nostri Paesi e sarà fondamentale per il nostro futuro”, ma per ora “possiamo raccontare quello che vi accade solo dall’esterno” per poter “fare il proprio lavoro” e documentare tutto ciò che accade. È stato firmato in soli 3 giorni da 520 giornalisti di molti Paesi del mondo. E hanno aderito non solo gli inviati di guerra che si trovano a dover coprire la Cisgiordania e Israele e non possono entrare a Gaza, dove sono in corso massicci bombardamenti, ma anche cronisti e giornalisti di radio, tv, quotidiani e agenzie di stampa di tutta Europa. Quella in corso in Medio Oriente, si spiega nell’appello, “è una guerra che ha ripercussioni in tutti i nostri Paesi e sarà fondamentale per il nostro futuro”, ma per ora “possiamo raccontare quello che vi accade solo dall’esterno”.