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L’intelligenza artificiale e i suoi conflitti reali

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Il pur nobile dibattito attorno all’intelligenza artificiale corre un rischio
serio: assomigliare troppo a quello che accompagnò negli anni più recenti
l’avvento della Rete e di Internet, a sua volta piuttosto vicino a ciò che
avvenne con l’entrata in scena della televisione e -scorrendo a ritroso la
storia- al clima che probabilmente si respirava quando la Galassia
Gutenberg ruppe il predominio totalizzante di monaci e monasteri
depositari della biblioteca dei saperi. Gli studiosi spostano la discussione
persino all’età della scoperta pratica della scrittura, che soppiantò
l’esclusività del linguaggio orale.
Insomma, pare di essere sempre fermi alla geniale dialettica oppositiva
descritta da Umberto Eco tra apocalittici e integrati. C’è del vero,
ovviamente. Ci si interroga legittimamente sui rischi connessi alle nuove
tappe dell’evoluzione della cosiddetta intelligenza artificiale, dove la
velocità inaudita della progressione tecnologica può portare la memoria
a quanto avvenne con la fissione dell’atomo: non immaginata dagli
scienziati del tempo come l’anticamera di Hiroshima e Nagasaki. Sulle
pagine de il manifesto rivista (uscirono alcuni numeri di riedizione della
storica testata) nel 2000 l’allora vice-presidente di Sun Microsystems Bill
Joy preconizzò una potenziale china insidiosissima per il genere umano,
prossimo ad una fine di specie proprio per l’avvento di macchine
robotiche dotate di qualcosa somigliante alla mente umana. Se non c’è un
governo democratico della scienza, in grado di definire limiti e confini, la
situazione potrebbe degenerare.
E siamo ancora a quel punto di riflessione predittiva, senza indulgere a
suggestioni distopiche o millenariste che servono solo a chiuderci gli
occhi.
La classica disfida concettuale va sostanziata con la pacifica arma della
critica, come hanno insegnato coloro che hanno sostenuto le virtù delle
tecniche, ma con la forza del disvelamento delle aree inquietanti ed
opache in grado di sfuggire a qualsiasi finalità progressiva. Bastino nomi

come Norbert Wiener, Alan Turing o Marcello Cini per rappresentare la
possibilità di un’alternativa credibile e non elusiva.
Qualcosa di nuovo c’è sul piano della regolamentazione e dell’iniziativa
politica. Il testo europeo ormai nella fase finale del suo iter, le scelte
almeno apparentemente impegnate della presidenza degli Stati Uniti o gli
indirizzi assunti da diversi governi fanno capire che il vento forse sta
cambiando. Così sperano, almeno, i poteri classici alquanto fragili rispetto
ad un universo di cui manca la conoscenza dell’alfabeto. Anzi. Una prima
essenziale misura sarebbe pretendere la trasparenza dei super algoritmi
che fomentano gli stadi dell’intelligenza artificiale. E, poi, è cruciale
individuare una sequenza di atti normativi, fondati – però- non
sull’articolazione burocratica tipica dell’era analogica, bensì sul ruolo
assegnato ad una indipendente Autorità mondiale inserita nell’universo
delle Nazioni Unite.
Nel parlamento italiano sono stati depositati testi utili ad accendere
finalmente l’attenzione su questioni neglette o considerate marginali. Ad
esempio, vanno citati i disegni di legge che hanno come primi firmatari i
senatori Nicita e Basso.
Tuttavia, le Linee Guida adottate nel Regno Unito e fatte proprie
dall’agenzia italiana di cybersecurity segnano un positivo salto qualitativo
nell’approccio al mondo post-umano.
Le culture laiche sono in difetto e arrancano, mentre l’approccio della
ricerca dei cattolici è interessante e si poggia sul vincolo insuperabile
dell’etica.
In verità, gli ultimi avvenimenti ci illuminano su quale sia davvero la posta
in gioco. L’uscita apparentemente ingloriosa e il subitaneo ritorno nella
postazione di comando dell’amministratore delegato di OpenAI (la società
madre) Sam Altman ci forniscono indizi preziosi.
Se è serio il racconto che si è letto sull’evento, vale a dire proprio il
conflitto sul futuro e sulle modalità di perseguirlo, ciò significa che siamo

prossimi ad un inedito e fragoroso capitolo della lotta di egemonia nel e
del capitalismo delle piattaforme.


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