Il prossimo martedì 7 novembre alle ore 20 verrà audito Sigfrido Ranucci davanti alla commissione parlamentare di vigilanza sulla Rai. La trasmissione diretta dal giornalista allievo di Roberto Morrione -con grandi successi di pubblico e di ascolti- è quella Report che non teme tentativi di imitazione: almeno, quanto a numero di querele subite.
Si tratta di querele “temerarie”, visto che sono agite per intimidire, condizionare, sopire e troncare come un novello Conte Zio. È una prassi da battere una volta per tutte: con un secco emendamento al testo in discussione al Senato sulla diffamazione a mezzo stampa. Se ne è parlato lo scorso lunedì mattina nel collegamento settimanale promosso da Articolo21, cui hanno partecipato il parlamentare vicino da sempre all’associazione Walter Verini e lo stesso Ranucci.
Tuttavia, ora siamo al grottesco. La commissione bicamerale nata con la riforma del servizio pubblico del 1975 è un organismo storicamente superato. È una sopravvivenza di un’altra età mediale, quando si era ancora in epoca di monopolio e non era neppure stata immaginata un’Autorità di sistema che ne avrebbe integrato e superato le funzioni. Stiamo parlando dell’Agcom, scaturita dalla legge n.249 del 1997.
In diversi tentativi di riforma del settore, infatti, o la suddetta commissione viene abolita, o -se mai- trasformata in una istituzione (più ridotta nei numeri) capace di occuparsi dell’intera infosfera.
Quanto ai numeri, non si scherza, visto che la commissione di vigilanza ha aumentato a 42 la composizione, malgrado il taglio dei parlamentari. Ma qui sta il punto. Qualsiasi pur risicato raggruppamento vuole sedersi su quei banchi, perché ormai la tendenza (soprattutto della destra) è di fare di quella sede una sorta di tribunale speciale.
Il destino, del resto, ha voluto che proprio nei palazzi in questione avesse sede verso la metà del Cinquecento e poi nel secolo successivo la Congregazione del Santo Uffizio e dell’Inquisizione voluta da Papa Paolo III.
Chiedere per conferma a Galileo Galilei.
E ora eccoci appunto (la storia spesso si ripete in farsa) ad un processo del tutto improprio nelle forme, oltre che nella sostanza. La commissione ha il potere di ascoltare i vertici della Rai su indirizzi e strategie, mentre il corpo a corpo con chi dirige un programma fastidioso per i vari poteri non può e non deve avere cittadinanza nella sede di San Macuto. Se nei servizi sull’eredità di Silvio Berlusconi (di questo pare che si intenda parlare) si ravvisano scorrettezze o errori, vi sono altri riferimenti istituzionali. A partire dalla citata Agcom oltre, ovviamente, alla magistratura secondo un rito cui Ranucci e colleghi sono amaramente abituati. Si cerca, come è evidente, la grancassa. L’urlo cattivo serve a indurre qualcuno a imbavagliare Report, già spostata nel palinsesto di una domenica sera consacrata da anni alla felice trasmissione di Fabio Fazio.
Non ha senso, dunque, mantenere in vita una struttura salvata da qualche autorevole Presidente. Per tutte e per tutti ricordiamo il compianto Sergio Zavoli, che ne aveva mutato il corso attraverso un ciclo di preziosi e interessantissimi seminari. Senza offesa per chi ne è oggi parte, naturalmente. Ma i fatti parlano da sé.
In attesa che sopraggiunga come in un sogno una seria riforma, non vogliamo comunque accettare un simile sopruso.
Articolo21 ha promosso, già con notevoli adesioni, una “passeggiata” di lotta, che si concentrerà al Pantheon alle 19,30 di martedì 7 novembre. Ogni riferimento all’omologa data del 1917 è davvero puramente casuale.
Sarà un’iniziativa ovviamente pacifica e limitata per la brevità dei tempi organizzativi. Ma vuole essere, oltre che una ferma critica delle destre e delle dure parole di Maurizio Gasparri peraltro anticipate da Report, una gentile sveglia per le forze dell’opposizione. Una simile richiesta inquisitoria si respinge al mittente. Senza se e senza ma.