Il disegno di legge per il mercato e la concorrenza (n.795) approvato al senato contiene un punto in cui si alzano i limiti di cautela nei riguardi delle onde elettromagnetiche. Che ci sia un rischio si capisce banalmente tenendo acceso un microfono nei pressi di un telefono cellulare che squilla. Basti vedere l’effetto che fa.
Il pericolo è immanente e ce ne rendiamo conto solo quando osserviamo quelle enormi torri di antenne che hanno deturpato metropoli e borghi negli anni del boom delle telecomunicazioni. Talvolta nascoste negli alberi, spesso sui tetti vicino ai vecchi camini, occultate per non creare l’allarme visivo, le onde ci accompagnano nella vita domestica. Per capirci, l’elettrodomestico più insidioso è il forno a microonde, ancorché non si stia esposti ai suoi flussi per molto tempo.
Le antenne e i dispositivi che vanno a moltiplicarsi a causa dell’avvento delle stagioni del 5G e appena domani del 6G (in verità, prevale il marketing sulle effettive virtù dei telefoni di nuova generazione) imporrebbero, sulla base dei desideri egoisti dei gestori, di alzare i tetti previsti dalla normativa vigente.
Malgrado l’età berlusconiana e i numerosi governi multicolori degli anni passati, il limite (fattuale e persino simbolico) stabilito dalla legge-quadro sulla materia del 22 febbraio 2001 (n.36) e dal decreto legislativo del 29 agosto 1997 (n.281) è rimasto. Quel tetto (6V/m) ha resistito, ancorché sotto l’egida dell’esecutivo di Mario Monti sia stato parzialmente depotenziato attraverso l’astuzia di calcolare i valori non nei previsti intervalli di sei minuti, bensì nelle 24 ore. Però, il numero magico ha tenuto.
La destra attuale, che alterna feticci nostalgici alla perfetta subalternità ai poteri forti (dalla Nato, a Bruxelles, alle imprese e alle piattaforme), nel testo in questione dà il peggio di sé.
Nel decreto di agosto del governo il punto fu stralciato all’ultimo minuto. Non a caso, forse, tenendo conto che l’argomento è assai sensibile anche nell’elettorato di destra. Tuttavia, tanto tuonò che piovve, secondo il detto popolare. Nella commissione industria del senato il Fratello d’Italia Pogliese ha presentato un pessimo emendamento, approvato a maggioranza anche ieri e peggiorato dal governo.
Nello scritto si propone di varare un decreto specifico entro 120 giorni, inserendo -però- una norma di chiusura (secondo il gergo legislativo) per cui alla fine del periodo transitorio i limiti si alzano a 15 Volt/m. Ciò significa, sotto la superficie apparente delle parole, che da subito si offre all’esecutivo l’opportunità di andare al di sopra dello stesso tetto immaginato. Tra l’altro, il numero 15 da dove arriva? Da uno scherzo del mago Forest?
Gli stessi massimi dirigenti delle società interessante sussurrano alle orecchie che il limite dei 6Volt/m di per sé non pregiudica nulla, salvo il fatto che per seguire l’innovazione tecnologica sono necessari investimenti sulle antenne e sui materiali. Si parla di una spesa di circa 4 miliardi di euro, considerati troppo da un settore che fu in clamorosa ascesa e che ora arranca di fronte all’invasione degli Over The Top. Ma la salute delle persone non vale neppure una manciata di euro?
Le radiazioni da telefonia sono state classificate fin dal 2011 dall’agenzia internazionale per la ricerca sul cancro (IARC) come possibile fattore cancerogeno. E vi sono importanti sentenze delle Corti di appello di Brescia, di Torino e di Firenze, nonché della Cassazione (2012). Vanno sottolineate, poi, le alterazioni ormonali, del DNA, della vitalità cellulare e della fertilità.
Sono punti sottolineati da una dettagliata documentazione inviata ai parlamentari da un’ampia serie di associazioni che si stanno mobilitando, raccolte nella rete «6 Volt/m per 6 minuti».
Malgrado l’opposizione espressa da Partito democratico, 5Stelle e Alleanza Verdi-Sinistra, il misfatto si è compiuto. Chi l’ha voluto se ne assumerà la responsabilità. Così fu per l’amianto.
Si faccia di tutto ora alla camera dei deputati per bloccare il fiume nero.